2013, di vecchi e di cipolle

Ieri un’anziana di ottantatré anni mi ha raccontato come viveva. Sono entrato in casa sua per lavoro, me lo sono sbrigato in poco tempo, ma non sono riuscito ad andarmene subito dopo. Vive al primo piano di un appartamento di case popolari.
Il passo affaticato dal peso, dagli anni e dalla malattia.
Gli anziani parlano, parlano molto, non lo se per solitudine o perché prestiamo loro poca attenzione o perché sentono la vita agli sgoccioli e vogliono lasciare qualcosa, le parole.
«Brutta la vecchiaia, non vedo l’ora di morire», ha detto mentre stavo ultimando il lavoro.
«Via, perché dice questo, non pensa agli affetti?», la mia è stata una risposta formale, anche cretina, ma che cosa puoi ribattere a una frase simile? Lei non si è persa d’animo e mi ha spiegato perché.
Era costretta a vivere dentro quel piccolo appartamento, che i dolori non le davano tregua, non riusciva a far le scale, mi ha raccontato nei particolari tutti i cinque interventi e le asportazioni di pezzi di organi.
«Vuole un caffè? Del vino?», cambiava argomento spesso, ho rifiutato entrambi, era quasi mortificata e allora mi sono giustificato, il medico mi ha ordinato di stare attento, niente alcol e niente caffé, ho avuto dei problemini col cuore pochi giorni fa. Ah, il cuore, anche il suo è messo male, ha risposto pronta, batte, non batte, la affatica, ma nessuno le ha mai proibito il caffè.
Mi stava parlando dalla finestra del primo piano, io stavo in cortile con il marito vicino, perché è claustrofobico, sta sempre a fare dei lavoretti all’aria aperta, ha ottantasei anni. Dato che avevo rifiutato il caffè e il vino se ne è andato nella sua rimessa e mi ha portato una confezione di cipolle borettane: «Queste se le può cucinare a casa, qualcuna è da buttare, ma le altre sono buone». Che cosa potevo fare? Le ho accettate e le ho messe in macchina.
Prima di andarmene sono entrato in casa per verificare l’avvenuta riparazione. Come dargli torto, in quel piccolo appartamento mi sentivo mancare il fiato pure io. Il corridoio, già stretto, aveva una parete piena di libri, tanti, infiniti, messi in disordine, accatastati alla meno peggio, dove posavi lo sguardo c’erano vetrinette contenenti modellini di carri armati e soldati. La passione del figlio, mi ha spiegato la signora, ama la Storia, legge un sacco e ha anche pubblicato dei testi. Ora ha smesso, che quando non lavora dedica tutto il suo tempo a loro. Un santo, mi spiegava la madre, mentre le scivolava una lacrima. Si sveglia alle sei, la medica, la lava, le mette le calze… si era coperta il volto per celare la vergogna, non era più in grado di vestirsi da sola… «E poi lei dice che non devo morire?»
Dieci medicine al giorno, e costano, visite mediche, a lei lo Stato, che secondo la Costituzione non deve calpestare la dignità della persona, le passa 300€ di pensione, per le medicine e le visite sfiora i 500€ al mese. Il marito prende 700€. Sopravvivono perché il figlio ha rinunciato alla sua vita per stare loro accanto.
Il marito ogni mattina sale sulla bicicletta e si fa il giro dei supermercati.
«Anche stamattina è andato alla Coop, dai Tedeschi», poi ho capito, dal punto geografico che segnava col dito, che si riferiva alla Lidl, «e alla Conad».
Non riuscivo a capire, senza soldi girava tutti quei supermercati? Forse per trovare il prodotto più conveniente, non mi sono dato altra risposta.
«Sono anni che non compro verdura, come posso con la miseria che prendo?»
Me ne dovevo andare. Non mi ha badato, mi ha invitato davanti a una vetrina ad ammirare i carri armati e i soldatini costruiti dal figlio.
«E adesso le mostro una cosa che per me è quasi una reliquia, dovrei metterla nella mia vetrina», accanto a quella dei soldatini ce n’era una con la Madonna di Lourdes, papa Wojtyla, padre Pio e altri santi.
Da una busta di cellofan ha estratto con delicatezza una bandiera piegata e me l’ha data in mano: «Legga quello che c’è scritto».
La bandiera italiana aveva una scritta sulla parte bianca, diceva, più o meno:
«Questa bandiera ha sventolato tra i soldati di Nassirya dal xxx al xxy», e sotto una serie di firme di militari.
Un’altra lacrima le era scivolata mentre la riponeva con tutta la delicatezza possibile.
Poi è tornata a raccontarmi delle sue difficoltà accompagnandomi alla porta.
«Ma non mi posso lamentare. Ho portato per tanti anni i malati a Lourdes e ho visto la vera sofferenza. Ci sono malattie peggiori. Quello che abita qui sopra ha l’alzheimer».
Mentre stavo sulla porta il marito mi ha chiesto il permesso di entrare, portava con sé una cassettina di legno contenente tre mezze arance e degli accenni di finocchio. In quel momento ho capito che lui non entrava nei supermercati, rovistava tra la roba scartata, tra i bidoni.
«Altrimenti non ce la facciamo», mi ha detto senza vergogna.

Sono tornato in macchina, le cipolle borettane sul sedile accanto, anche se incellofanate, liberavano un odore pungente. Erano da consumarsi preferibilmente entro due giorni prima. Ma non me ne volevo liberare, mi erano state donate da due belle persone. Però, più rimanevo nel veicolo e più l’odore era insopportabile, così mi sono fermato e ho aperto la confezione, magari ne salvavo in paio. Un prepotente odore di cipolle marce mi ha preso lo stomaco e gli occhi hanno iniziato a lacrimare. Tuttavia ho cercato, almeno una, una sola, la potevo salvare? Mi sono arreso e, con la morte nel cuore, le ho buttate.
Ho pensato ai due vecchi, alla dignità che mi hanno dimostrato, alla loro generosità, al loro pensiero verso chi sta peggio, all’amore per la bandiera, grati di appartenere a questo Paese.

Poi ho pensato che alle ventuno a rete televisive unificate, un altro vecchietto, certo non claustrofobico, con pochi acciacchi e con la frutta fresca presente ogni giorno, ci avrebbe augurato buon anno, chiedendoci di non cedere, di resistere che la via intrapresa è quella giusta, ce la faremo. Avete capito cari vecchietti? Siamo sulla strada giusta, accontentatevi di spendere in medicine più di quanto vi viene dato in pensione, siate orgogliosi che un figlio ha rinunciato alla sua vita (bamboccione!) per starvi vicino, continuate a rovistare tra la spazzatura, che è la strada giusta.
Davanti alla classe dirigente di questo Paese provo un disgusto maggiore che annusare delle cipolle marce.
E allora anch’io voglio contraccambiare gli auguri per il 2013 a costoro: vi giunga il mio cordiale, patriottico ‘fanculo.
Lo so, lo so, è bassa demagogia!

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