Una decina di anni fa, con l’uscita del primo libro, cedetti alle lusinghe di conoscenti e mi iscrissi a Facebook, mi dissero che sarebbe stato un ottimo veicolo pubblicitario per il libro.
Di essere finito dentro il peggior postribolo intellettuale non ci misi molto a capirlo. In nome della libertà tutti hanno il diritto di esternare, molti dando il peggio di sé. Sommerse da foto di cani e gatti, di tanto in tanto emergevano pillole di stupidità o di fascismi che mi lasciavano basito. Erano proprio le persone che conoscevo a pubblicare simili orrori? La persona mite che mi salutava con un sorriso covava pensieri tanti disumani? A quanto mi raccontava Facebook, sì. A un certo punto mi son sentito saturo di tanto squallore e per reazione iniziai a pubblicare dei brevi raccontini ispirati dalle nefandezze che leggevo. Dovevano essere la mia medicina per sopravvivere in un’umanità che aveva perso la Trebisonda. Mi beccavo qualche “like” che è lo scopo vitale e virale di ogni pubblicazione su quella piattaforma. Sei solo se like. Ma dopo qualche pubblicazione sentivo più dolore e allora lasciai perdere. Cominciai ad agire: comandai al programma di impedirmi la visione di certi profili: addio gatti, addio fascismi. Ero salvo! Povero illuso! L’algoritmo si migliorava e non avevo scampo: tutto quello che digitavo veniva monitorato, tutto entrava nel calderone dal quale sarebbe emerso e in continuazione affinato il mio profilo. Non chi sono, ma quello che l’algoritmo ha deciso che devo essere. Così ora mi invita, data l’età, a seguire delle pagine di ragazzine tailandesi che aspettano me; arrapate quarantenni in reggiseno e mutande; di ammirare chi prepara panini o mangia chili di porcherie. Insomma credo di essere stato profilato alla voce “Vecchio porco”. Che se la goda, non mi interessa.
A distanza di anni ho riletto quei raccontini. L’umanità è peggiorata, abbiamo vissuto un periodo di segregazione dove dicevamo “Andrà tutto bene!”, però non è accaduto, siamo peggiorati. L’oppressione del nuovo Dio non riesco a sopportarla, tutto è diventato misurabile e valutato nella scala del denaro, se un agire non è convertibile in denaro è inutile. Guardare un tramonto è inutile, tempo rubato alla produttività. Invecchiare è orribile, si emana un odore stantio, un tempo la vecchiaia emanava saggezza; il nuovo Dio dispone di estetiste e bisturi sono quello che servono per restare giovani e attivi, ci si deve adeguare, ci si deve mostrare.
Così ho ripreso quei raccontini e ne ho aggiunto altri. Ho pensato alla vita di una comunità dominata dal nuovo Dio, il Mercato. Ho raccontato di una popolazione ammaliata dal nuovo sistema e da rimasugli di resistenti convinti che il mondo può essere altro. L’ironia lega gli episodi che racconto, perché alla fine, per sopravvivere, bisogna avere uno sguardo distaccato, accettare che il vento del Potere ti arrivi addosso con tutta la sua violenza, dobbiamo trasformarci in giunchi per lasciare che il vento passi e ci pieghi illusoriamente, ma le radici devono restare ben piantate a terra, la vita arriva da lì. Se non teniamo le radici il vento ci porta dove vuole e noi, pieni di brio e allegria per il volo, non capiremo niente della vita; anzi quando il vento ci abbandonerà ci illuderemo di averla vissuta, ma sarà stata solo svenduta.