Fin da piccolo ho avuto una repulsione per i militari. La divisa di un carabinere mi ha sempre messo paura. Non il carabiniere, non l’uomo, la divisa.
Non lo so perché, ma mi ha sempre dato l’idea dell’uomo cattivo, di colui che, non importa il motivo, poteva farmi del male e nessuno lo avrebbe fermato. Le divise dei militari le ho sempre associate al male. Quindi niente di ideologico, semmai questo è arrivato dopo, con una disciplina insulsa di cui, fortunantamente, mi sono liberato. Eppure mi è sempre rimasto dentro una repulsione per le divise. Oggi mi capita di andare a lavorare in alcune caserme, la ragione mi fa vedere i militari per quel che sono, innanzitutto persone, poi clienti. Ma il disagio che vivevo da bambino mi accompagna ancora oggi.
Qualche anno fa andavo spesso per lavoro a Portogruaro, e mi capitava che girando per i sensi unici del centro, imboccavo la via che mi portava davanti alla caserma dei carabinieri, la caserma “Iberati”.
“Iberati” è scritto bello in grande davanti all’ingresso della caserma e l’ho sempre interpretato come una ruffianata verso qualche comandante. Probabilmente Iberati aveva guidato quella caserma, aveva permesso carriere, e coloro che ne avevano beneficiato, al congedo del comandante Iberati, gli avevano intitolato la caserma.
Squallide bassezze che si registrano nelle caserme, nelle chiese, nelle aziende. Il comandante, il vescovo, il dirigente che ha permesso le carriere altrui viene onorato da chi lo sostituisce, quale segno di riconoscenza, intitolandogli un edificio. Meschinità umane.
Quando ho avuto l’idea di scrivere “Un nome rubato”, desideravo raccontare il mio territorio dal periodo fascista fino ai tempi più recenti. Ho cercato di informarmi sulla Resistenza nella mia zona. Mi erano capitati tra le mani un libro che parlava della resistenza nel portogruarese e un altro che trattava della Resistenza nel Veneto orientale. Leggendoli mi sono imbattuto in un nome: Iberati.
La sera del 18 dicembre 1944 il carabiniere Ampelio Iberati, 27 anni, e i partigiani Antonio Pellegrini, 22 anni di Treviso e Bernardino Vidori, 28 anni di Valdobbiadene, erano stati impiccati dalle forze nazifasciste nella piazza principale di Portogruaro, lasciandoli penzolare ai lampioni. Iberati era stato appeso a qualche decina di metri dalla casa della madre.
Aveva barattato i suoi ventisette anni per la mia libertà. Mi son sentito un verme a pensare male di quel ragazzo.
Oggi a Portogruaro ci vado meno, ma se mi capita di passare davanti alla caserma “Iberati”, sarà sciocco, soprattutto per il mio antimilitarismo, ma sento una spinta, che non assecondo, di scendere dall’auto e onorare quel nome mettendomi sull’attenti. Non lo faccio, ma davanti a quel nome mi sento in dovere di dirgli: «Grazie!»