E anche questo Natale e Santo Stefano sono passati. Avranno lasciato uno spirito più forte, un desiderio, un proposito di essere parte attiva a salvare dal pantano della sofferenza l’altro?
Io l’ho avuto questo proposito?
Credo di avere un grande difetto, saprei abbandonarmi a un ego smisurato, ma per fortuna o per volontà, non so di chi, non ho le caratteristiche di un Adone, anzi, la natura è stata dispettosa con il mio aspetto: la bruttezza esteriore allontana i più. Questo ha annullato il mio ego e la possibilità di far male agli altri (anche se alle volte ci son riuscito comunque).
Ogni attenzione me la devo conquistare, devo sforzarmi a dimostrarmi intelligente, nella speranza di non essere buttato ai margini.
È difficile attraversare questa breve vita con questo fardello.
Riesco sempre con fatica a vincere il rifiuto che al primo acchito la gente ha di me. Il problema è che io quei momenti me li ricordo, se anche vengono superati dalla confidenza che si instaura, rimangono lì a ricordarmi che quel rifiuto era il pensiero di fondo, poi mitigato, ma la radice della relazione di costoro verso di me risiede lì: in principio era il rifiuto.
Anche perché sviluppare l’intelligenza ti porta a leggere il mondo, ne scovi in ogni dove la mediocrità, la visione deformata, e provi uno schifo che non puoi esternare, ma che ti porta ad allontanarti.
Sai di essere pesante nei giudizi, sai che questo non crea empatia. Così il più delle volte taci, quelle poche monetine di amicizia presunta non le vuoi perdere, bisogna pur sopravvivere.
Altri prima di me lo hanno sopportato questo calvario, i poeti lo chiamano il male di vivere. È orribile sentirsi inadeguato ai tempi e sei costretto a viverli senza la vocazione di essere poeta.
Alla fine si tira avanti, gli anni passano, hai costruito una famiglia in cui tenti di dare tutto te stesso, affronti le difficoltà, instilli coraggio, sei grato a tutti loro.
Ma il senso di inadeguatezza, quello non lo riesci a superare, non riconoscere la sincerità delle parole dei conoscenti diventano pietre legate a una corda che qualcuno vorrebbe nell’altra estremità a cappio infilarci il tuo collo. Ti rifiuti, combatti, vinci.
Però niente si porta via quel senso profondo di acida solitudine. Ti rassegni, ci convivi, è un problema tuo, solo tuo. Devi trovare uno sfogo per non impazzire, per non considerarti un vinto. Per questo scrivo.