Serata yoga 19/12/2019 – parte prima

Sono stato invitato qui stasera per un intervento che sarà diviso in due momenti, nell’intermezzo ci saranno delle pratiche yoga a altre sorprese.
Il tema che mi ha affidato Gianluca è di riflettere, in questo clima natalizio, della purezza.
Dobbiamo capire che cosa intendiamo per purezza. È un termine che, in ambito religioso, ci accompagna da sempre.
Facciamo un salto indietro nel tempo di poco più di 25.000 anni eravamo già diventati homo sapiens, da poco si era abbassata la laringe e avevamo iniziato a esprimere dei suoni, per prima è stata la P, poi le vocali e via via gli altri suoni. Ci esprimevamo inizialmente con sillabe. Grazie al suono, alla parola, abbiamo imparato a formulare dei pensieri, dare senso alle parole (senza parole non c’è pensiero, più ricco è il nostro vocabolario e più sappiamo pensare). 26.600 anni fa nasce il carattere, poi, 70-80 anni dopo, scopriamo l’ipocrisia esistenziale (ci si piega al potente anche se ne pensiamo male).
Bene in quell’epoca, quando l’uomo riesce a formulare ragionamenti, inizia a porsi delle domande. La più importante e che rimane senza risposta è: perché esiste il dolore, perché si muore.
Gianluca, nelle sue pratiche, ho avuto modo di sentirlo più volte, spiega che ai suoni che ci fa emettere durante una posizione non vi dobbiamo ricercare un senso, hanno altre funzioni. Ci spiega pure che gli yogi hanno origini lontane. Probabilmente i primi eremiti li abbiamo avuti in questo periodo, persone che avevano acquisito la capacità di emettere suoni, di ragionare, che davano attenzione e ricerca alle possibilità del proprio corpo, sentendo tuttavia di essere qualcosa di superiore all’involucro di muscoli e ossa. Ecco perché ci cimentiamo ancora oggi in suoni tipo “AUM” “UA GURÙ” e mantra monosillabici, eredità di queste millenarie ricerche.
Mentre questi spiriti solitari si studiavano dentro e cercavano il modo di uscire dal corpo, erano iniziate delle migrazioni: dall’Africa molti gruppi avevano iniziato a spostarsi nel mondo.
Eppure l’uomo si sente debole, la sua vita è in continuo pericolo: una frana, una pianta nociva, una belva, la violenza di suoi simili, possono condurlo alla morte. E dall’altra parte si sente portatore di desideri, anche irrealizzabili. Ecco che davanti alla morte, alla debolezza, al desiderio, inizia a formulare l’idea che qualcosa di più grande di lui può proteggerlo o esaudirlo. Si fa luce l’idea di un dio e degli dei, che regolano la nostra esistenza. Come sono questi dei? Spietati, perché ci portano la morte, onnipotenti perché sopperiscono alla nostra debolezza, esaustivi perché possono dare concretezza ai nostri desideri. Ma come chiedere benevolenza, protezione e aiuto?
Rivolgendosi agli uomini di medicina, o sciamani, ovvero coloro che conoscevano qualche espediente per guarire da qualche malattia grazie alle erbe, e quindi vincere la morte, e chi vince la morte è senz’altro vicino a dio. Ecco allora che nascono riti, canti, invocazioni.
Quando la società si struttura a piramide, ecco che l’uomo di medicina si evolve in sacerdote. Ormai stiamo entrando in quella che viene chiamata civiltà.
Al vertice c’è un re, attorno a lui una corte di arricchiti come lui, che grazie all’esercito (la forza, dominano sui corpi) e i sacerdoti (i connettori con l’aldilà, dominano sulle anime) schiacciano le masse.
Anche l’idea di dio si ristruttura, non più un ente che si esprime con il tuono o che si identifica con il sole, ma diventa un essere antropomorfo, che sta alla sommità di tutto, e dato che nella società alla sommità c’è un re, anche a dio viene assegnato un trono, diventa un essere lontano, inavvicinabile, facile all’ira, che assegna al re tutti i suoi poteri, il re detta la legge.
Che cosa viene chiesto per poter essere degni dell’attenzione di dio? Quello che viene richiesto per non essere vittime dell’ira del re: obbedienza, preghiera, rispetto dei precetti impartiti dai sacerdoti, per raggiungere la purezza ed essere degni di dio.
Vi sembreranno concetti lontani, ma vi assicuro che non lo sono. Le religioni lavorano ancora su questo per tenere a bada i propri fedeli. L’idea di non essere degni di dio ce l’abbiamo tutti dentro, l’idea che il mio avvicinamento a dio passa inevitabilmente attraverso la sofferenza, il digiuno, la preghiera e il pentimento, è un’idea pulsante, è viva.
Eppure, il bambino di cui stiamo ricordando la nascita è venuto per ribaltare tutto questo. Lo vedremo nella seconda parte.

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