Ieri ho partecipato a un incontro di emergenza indetto dai Consigli di Frazione dove si è discusso sull’arrivo di immigrati nella nostra località.
Un mese fa il prefetto ha inviato di suo arbitrio, dopo riunioni finite a vuoto con i sindaci, degli immigrati a Eraclea Mare, a insaputa del sindaco, avvertito a cose fatte. Non avendo trovato disponibilità dalle Amministrazioni comunali si è rivolto a dei privati e a Eraclea un signore proprietario di una palazzina con 98 appartamenti, di cui venduti solo 11, ha accettato. Dovevano arrivare 27 persone e invece sono subito raddoppiati. Di lì a qualche giorno hanno passato i 100 e ora sono più di 200. Le categorie che lavorano in ambito turistico si sono allarmate, hanno protestato così si è cercata un’alternativa, una caserma dismessa, si trova in mezzo ai campi, a 10 chilometri dalla spiaggia, dove verranno portate delle unità abitative mobili; come da copione sono iniziate le proteste della frazione interessata, per allargarsi a tutta la cittadinanza.
Nelle proteste di ieri ho captato un filo comune, lampante, che legava la varietà degli interventi: la paura.
Innanzitutto sentono venire meno la sicurezza, temono l’inasprirsi della delinquenza, i loro cari e le loro proprietà minacciate; l’agguato e il furto sono una presenza già percepita.
Confuso tra l’assemblea, ascoltavo i commenti o le affermazioni di chi mi stava vicino. La posizione principale è stata: «Non li vogliamo», come se questo fermasse un’emergenza che un prefetto (ruolo che risponde solo al ministro dell’Interno) deve risolvere in tempi celeri. A questa ha fatto seguito: «Ho cento pallottole a casa» e digressioni simili e fantastiche sul modo di ucciderli. Per terminare con gli insulti al sindaco e alla politica in generale. Un livello basso, istintivo di approcciarsi a un problema che forse la dice lunga. Nasconde il senso di essere presi in giro da chi questi temi ha il dovere di affrontarli e risolverli oltre l’emergenza. Ieri mi sentivo schiacciato dai culi flaccidi e grassi di chi usa l’Europa per i propri interessi finanziari, dagli eredi della cultura borghese fatta di libertà, fraternità e uguaglianza che stanno dimostrando tutta la loro falsità bloccando le frontiere, dall’incapacità dei miei governanti di farsi trattare alla pari; mi veniva in mente il monito di Saviano dove avverte che laddove ci sono grandi flussi di denaro nascosta c’è la criminalità organizzata. Che cosa possiamo fare noi davanti al Potere? Ascoltando chi mi stava vicino è uccidere il più debole, potenzialmente aggressivo. Ma nessuno ammazzerà nessuno, respiravo solo paura, la paura di un debole verso uno ancora più debole, terreno fertile per nuovi politicanti da strapazzo che mirano a una poltrona.
Per fortuna c’è ancora chi riesce a guardare in faccia la realtà, è consapevole delle sue poche forze che non saranno più tali se si coalizzerà con altri.
Nemmeno io vedo di buon grado la soluzione delle casette esterne alla caserma, oltre a leggervi l’allarme di Saviano trovo intollerabile costruire un campo di accoglienza che diventerà una favela, miserabili costretti a rimanere in un luogo che manco sanno dove si trova nella cartina geografica, comunque lontano dalla loro meta nello spazio e nel tempo. Perché, non dimentichiamolo, costoro fuggono da qualcosa, ma hanno una meta, sanno dove si trova il loro Eldorado. Non sono fuggiti per venire imboccati due volte al giorno e restare a far niente lontano dagli affetti, dai desideri, dalle relazioni, mentre intorno a loro vedono un benessere: qualsiasi essere umano prima o poi in queste condizioni incattivisce.
Mi indigna che le altre Amministrazioni comunali della provincia facciano finta di non accorgersi del problema, di negare la loro disponibilità all’accoglienza. La regola condivisa tra Stato-Regioni-Comuni prevede un profugo ogni 1000 abitanti, significa che da noi devono arrivarne 13. Tredici. Non è un problema collocare tredici persone, un albergatore si è già trovato, non serve costruire o spendere per una infrastruttura. Così come si possono trovare strutture in ogni comune. E svanisce anche il problema sicurezza: quanti hanno nelle vicinanze di casa loro degli stranieri? Si sentono minacciati? No, finché si tratta di una esigua minoranza, le cose cambiano quando la presenza si fa più rilevante, scatta l’istinto, ci si sente minacciati, si alimenta il disprezzo e l’odio è lì a due passi. Duecento profughi in una frazione di trecento abitanti sono una minaccia ancora prima di vederli.
Gli amministratori devono curarsi della convivenza serena dei loro concittadini, non si risolve un tale problema dicendo no. È un’onda che arriva dal mare, insistente, potente, non basta il MOSE a fermarla, prima o poi tracima e la si subisce; conviene gestirla, dando dignità a tutti.