Vita

Gli piaceva alzarsi al mattino un attimo prima che il sole sorgesse. Usciva dalla baita e camminava sul prato in pendenza sino ad arrivare alla fontana. Il paese sonnecchiava sotto di lui, vedeva qualche timida luce tra quelle umili mura secolari che avevano ascoltato le voci, udito i passi, i rumori di arnesi di tante generazioni.

Alla fontana raccoglieva a coppa l’acqua gelida e si bagnava il viso, sembrava uno schiaffo violento, ma mutava subito in piacere, in purificazione, quindi osservava la sella tra i monti di fronte respirando l’aria frizzante del mattino, respirava profondamente, sentiva il freddo entrargli nei bronchi e nei polmoni, percepiva la pelle puntellata da un piacevole gelo, un massaggio che riattivava la sua presenza sulla Terra. Lo scroscio monotono della fontana gli faceva compagnia e aspettava, ligio come una sentinella. il timido chiarore rossastro che preavvisava l’apparire di una ciglia rossa tra i monti, che si levava senza fretta, sicura, l’esercizio perfetto a cui ognuno ambisce, diventava un arco, un semicerchio e infine, quand’era una palla gialla, spennellava via il rossastro e diffondeva luce sul suo volto, sulle case, sul bosco, sul prato, sulla baita, sulla fontana. Su, su, grande Sole, buongiorno a te e alla tua generosità!

Godeva di quel momento.

Altre volte si trovava tra l’odore salmastro di un paesino di pescatori. Il mare lambiva piano la riva, si stava risvegliando, le onde erano chete, lente, si stiracchiavano piano verso riva e poi tornavano indietro. In lontananza sentiva i borbottii dei pescherecci che tornavano con la loro pesca, poi voci umane che contrattavano, mettevano allegria, li avrebbe raggiunti poi, ora attendeva il rossore che si stemperava all’orizzonte annunciando l’arrivo del nuovo giorno, l’incedere lento di Sua Maestà il Sole, altero e sicuro di appropriarsi del posto più alto.

Altre volte era… era lì, era sempre stato lì, su quel letto, il volto rivolto alla finestra, le gambe assenti, invalide. Ma non si perdeva d’animo, il Sole sorgeva e lui lo aspettava, aspettava i raggi che occupavano la sua stanza ed era felice. Aveva imparato a recitare un mantra tutto suo, si faceva alzare il busto dall’infermiere, chiudeva gli occhi e ripeteva: «Vita, vita, vita, vita…» lo prendevano per pazzo, poveretto, che triste destino, dicevano. Ma lui non li ascoltava, mentre recitava quel mantra allargava le ali e lo portavano lì, nella baita di montagna o in riva al mare, tra i palmeti di Bahia, tra i ghiacci dell’Alaska, davanti ai templi thailandesi, in un deserto con i tuareg o a bagnarsi nel Gange. Viaggiava, viaggiava molto, lasciava se stesso e diventava tutt’uno con l’universo, gli bastava quel mantra: «Vita, vita, vita, vita…»

Nel 2017, di sabato, all’alba ho partecipato ai risvegli yoga che Gianluca Caminotto della Palestra Atenas organizzava. Mi aveva chiesto di portare dei momenti legati alla meditazione: una poesia, un’esegesi, dei racconti brevi. Qualche volta ho portato dei racconti che avevo scritto per l’occasione, tipo questo.

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