La compassione

Mi trovo in mezzo a dei parallelepipedi grigi che vengono chiamati “zona commerciale”. Anche se è una torrida giornata di luglio e i parallelepipedi sono lontani da qualsiasi centro urbano, l’infinito parcheggio è pieno all’inverosimile. È difficile trovare un posto libero, per fortuna ci sono loro a segnalartelo, gli Africani, con le loro mani occupate da calzini e altre cosette che vogliono vendere. Mettono tutti di malumore. Forse lo sanno e, sotto sotto, se la godono o ci disprezzano. Disprezzano il nostro imbarazzo nel fingere di non vederli, nel nostro fingere cordialità, ma un soldo non lo sganciamo neanche se si presenta il Padreterno. Io non lo sgancio: perché dovrei sentirmi in debito? Perché il posto libero me l’hai indicato tu? L’avrei trovato comunque. O perché ho pietà della tua condizione? Mi sento superiore? Non mi sento tale, caro fratello ti vedo come un parassita, non come una persona che cerca un riscatto. Il tuo sorriso è falso, non è stato disinteressato il tuo aiuto, vuoi soldi in cambio.
Mentre mi incammino verso la cattedrale del consumismo, un Africano parlando la sua lingua mi mostra i calzini, rispondo di no con la testa e passo oltre, almeno mi sta facendo una proposta commerciale (illegale, certo, ma va a braccetto col nero di tanti artigiani). Dietro di me un signore si lamenta e capisco che attende da me una complicità.
«Ma come possono permettere che questi se ne stiano qui a infastidire? Dove sono i vigili?»
Non gli rispondo e questo si fa più vicino e ripete la domanda. Qualcosa devo rispondere, ma non voglio litigare, mi voglio liberare al più presto anche di questo fastidio.
«Lo sanno che ci sono, se li lasciano fare ci sarà un motivo», che risposta cretina, ma le altre erano tutte offensive.
«Un motivo? Il motivo è che noi paghiamo le tasse e questo è il risultato», vado più piano e l’uomo indignato mi supera. Bene, vai avanti, vai. Mi lascia con queste parole:
«Pensare a tutto quello che hanno fatto i nostri padri per darci un futuro migliore, i loro sacrifici… e adesso arrivano questi e mendicando si portano a casa cento euro al giorno!»
Non riesco a trovare un nesso tra le due affermazioni, ma mi pare che il fastidio stia tutto nel guadagno alla fine di una giornata di elemosina.
Mi giro e li osservo, ne vedo cinque, tre in pausa che se la raccontano e due che avvicinano la gente. Non stanno facendo una bella vita, non credo che siano felici a vivere di questo, chiedere l’elemosina e offrire calzini.
Sono fatiche e umiliazioni quelle che stanno facendo, come li hanno fatti padri del signore che si lamentava. Sperano in un futuro migliore. Chissà se un giorno, tornati in Patria dopo aver dato una possibilità di riscatto ai loro cari, sentiranno i loro nipoti indignarsi per i nuovi poveri arrivati nel loro Paese in cerca di maggior fortuna e penseranno ai sacrifici dei loro padri, mentre quelli lì, a mendicare e importunare…
La memoria del genere umano è sempre parziale, la fatica e le sofferenze altrui non sono poi così dure come quelle che capitano a noi. La compassione difficilmente alberga nel cuore dei più.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare.