Entrambi i miei figli stanno trascorrendo il mese al GREST. È Martedì 20 luglio e si va in gita, partecipo anch’io per accompagnare mia figlia che ha soli sei anni, il maschio ne ha dieci e ormai è autonomo.
Visita al museo dell’aria presso il castello di San Pelagio, in provincia di Padova.
Mio figlio scende dalla corriera con la solita faccia svogliata, ha un entusiasmo nel fare le cose pari a zero, la bambina invece è tutta emozionata.
Visitiamo il museo, non mi piace l’esposizione filomilitarista della guida ma, dopo tutto, da qui è partito D’Annunzio per sorvolare Vienna, per avvertire Cecco Beppe che gli Italiani non erano poi così pappamolle come lui credeva, e il museo, da quanto capisco, è imbastito attorno a quell’episodio. Lasciamo D’Annunzio, Baracca, il Barone Rosso, Gagarin e astronauti vari, iniziano le attività ludico-ricreative.
E via, buttiamoci nel divertimento!
Stiamo percorrendo il labirinto del sambuco, quando mio figlio mi confida di sentirsi male. «Cavolo, e dove mi giro ora?», mi chiedo. Per fortuna resiste fin fuori dal labirinto. Non vuole tornare indietro, dove abbiamo lasciato gli zaini, allora lo invito a starsene all’ombra. Ma dopo un po’ vomita. Lascio la bambina con le animatrici e torno indietro con lui, cerco un bagno dove possa pulirsi dopo di che gli faccio mangiare un pacchetto di crackers. Torna a nuova vita, recupera il suo colore, l’allegria e accetta di tornare col gruppo.
Camminiamo per il grande giardino e inseguiamo le voci urlanti dei bambini. Li troviamo che stanno giocando con le cerebottane, non vedo mia figlia. Lontano avanzano due animatrici, una con la bambina in braccio piangente. Rincorrendo gli altri è inciampata su una radice di un albero. Pianti e dolori. «Grande giornata!», mi son detto.
Prendo la bambina, ci sediamo su una panca e le metto sul piede il ghiaccio che le animatrici hanno recuperato. Dopo un po’ la carico in spalla, con estrema sofferenza della mia schiena malmessa, e ritorniamo alla base, ovvero dove abbiamo gli zaini. Urla a ogni passo, così, mentre vorrei tanto sbrigarmi, devo sostare spesso per non farla soffrire.
Lontano da casa e vincolato dai pullman, gran bella situazione! Rimango il resto del tempo a consolare la bambina e a farle gli impacchi col ghiaccio.
Al passare delle ore, si lamenta meno, anche grazie alle animatrici che la distraggono, ma quando la riprendo in braccio per tornare alla corriera, tornano i pianti e le urla.
Arriviamo a casa alle sei, scarico a casa il maschio e porto la bambina al Pronto Soccorso, predisponendomi alla pazienza. Codice verde, una sacca di un prodotto gelato da metterle sulla caviglia e aspettiamo.
Dopo un’ora ci chiamano.
Il medico la guarda entrare, lei è seduta sulla sedia a rotelle e ha il piede dolorante accavallato sull’altra gamba. Le dice di muovere le dita: poco, ma le muove. Conclude che non c’è frattura, se ci fosse stata la bambina non avrebbe accavallato le gambe e non avrebbe mosso le dita, secondo lui non servono neppure le radiografie. Bene, allora immagino che la fascerà e poi ce ne torneremo a casa. Invece no, mi spedisce in pediatria.
Altra lunga attesa. Per fortuna non mi devo sforzare per distrarre la bambina, è una gran chiacchierona e mette allegria, anche ai musi lunghi degli altri genitori che stanno imprecando perché non vengono chiamati.
Ci ricevono. La dottoressa ci chiede che cosa è successo e se abbiamo le radiografie. No, niente radiografie. Servono le radiografie, lo scrive al computer, stampa il foglio (ma perché la carta, è tanto difficile mettere in comunicazione le varie postazioni con dei server?), lo firma e mi saluta.
Torniamo al Pronto Soccorso, consegno le carte e attendo. Sono quasi le venti, il radiologo sta per andarsene, ma ci chiama. Sgarbato, ha fretta, gira con poco tatto il piedino della bambina, se piange non è affar suo.
Torniamo nella sala d’attesa del Pronto Soccorso.
Mia figlia mi chiede come mai ci troviamo sempre lì. Le spiego che la Sanità è come il gioco dell’oca, se sbagli casella torni al via, e noi finora abbiamo sempre sbagliato, mi guarda incredula. D’accordo, ci portano qui perché è da qui che gestiscono i vari reparti, a questa motivazione ci crede di più. Dopo mezz’ora ci chiamano, ci consegnano le lastre, la risposta del medico e ci rimandano in pediatria.
Mentre aspetto leggo la risposta del medico, vorrei incazzarmi, ma la giornata è ancora lunga e ingoio la rabbia. Dalle lastre il medico ha appurato che «Non è sicuro che si tratti di frattura», ha scritto proprio così. A questo punto scrivi «Non lo so», sei più onesto. Dopo quasi un’ora il pediatria legge la risposta, afferma che non ci sono fratture, somministra del Nurofen alla bambina e ci dice di andare in ortopedia.
Torno al Pronto Soccorso con una carta in più e la bambina senza cure. La caposala mi dice di tornare l’indomani alle dieci, in ortopedia, sala gessi.
Alle ventuno e quaranta tornammo a riveder le stelle.
Il mattino seguente alle otto e mezza porto il maschietto al GREST e mi dirigo subito all’ospedale. Alle nove sono in sala gessi. Non c’è nessuno, meglio. Dopo dieci minuti ci ricevono.
C’è un’infermiera e un dottorino. Mettono a loro agio la bambina, scherzano. Il medico consulta le lastre, secondo lui non c’è frattura, forse la cartillagine ha subito un danno, nei bambini piccoli è difficile da vedere, ma confrontando con la radiografia del piede sano si può dare una risposta più puntuale, in ogni caso, si risolverà con uno stivaletto. Ma mettiamoglielo e facciamola finita. No, meglio il confronto. Altra carta e ritorno al Pronto Soccorso. Attendiamo per la radiografia. Dopo dieci minuti ci chiamano. Forse la fortuna gira dalla nostra.
Questo radiologo è un omone che scherza con la bambina, la fa ridere e intanto prosegue col suo lavoro.
Torniamo al Pronto Soccorso. Non sono neanche le dieci. Canto vittoria, ma la firma del medico arriva quasi a mezzogiorno. Mi chiamano, mi chiedono perché ho fatto la seconda radiografia. Ho un gran desiderio di rompere il vetro che ci divide. «Ordine dell’ortopedico», rispondo. Sparisce. Dopo un po’ ritorna ma questa volta esce dalla porta con il suo fardello di carte e lastre, si avvicina e mi chiede di raccontargli tutto quello che è capitato: qualche carta è andata persa. Faccio un lungo respiro e recito a voce bassa e senza toni tutto il via vai per l’ospedale. Ora è tutto chiaro, si scusa, firma e mi manda in ortopedia.
Alle dodici e trenta un medico diverso guarda le lastre e conclude che è solo una distorsione, niente stivaletto, per i bambini di quell’età non ce ne sono, una bella fasciatura con un tubolare e quindici giorni di riposo. La bambina urla, non vuole farsi infilare il tubolare, così me lo consegnano e mi dicono «Si arrangi lei». Diciotto ore per dirmi che si tratta solo di una distorsione.
Ma non sto qui a inveire contro la Sanità o contro gli operatori che ho trovato. Nel dubbio si fanno ricerche più approfondite, ne convengo. E poi la sera prima avevo lasciato il Pronto Soccorso parlando con la caposala che mi aveva accolto, e al mattino alle nove mi son trovato ancora lei alla ricezione.
Non discuto sulle competenze, se ci son tagli, se le indicazioni che arrivano ti dicono di non perdere tempo o di non assumerti certe responsabilità questo è il risultato (mi riferisco per esempio al medico che aveva scritto che non era sicuro che si trattasse di frattura, probabilmente anche lui sapeva che bisognava compararlo con l’altro piede per avere maggior sicurezza, ma non stava a lui decidere, la burocrazia, per spendere poco, ti riduce a non avere più voglia di dare quel qualcosa in più).
E non do neanche la colpa ai tagli che ogni Governo fa. Se i soldi mancano e si vuole garantire un servizio, quel servizio c’è ma è sempre più scadente.
La mia rabbia è andata verso i furbi, quelli che sanno come gira il mondo, che fanno tutto in nero, che ti vengono incontro, ti fanno risparmiare, niente I.V.A., basta una stretta di mano. Quelli che le tasse le lasciano agli stupidi, loro il denaro se lo guadagnano, rischiano, non sono mica quelli del ventisette…
Ma questi non si fanno mai male? Ah già, se capita si incazzano con la caposala che sta lì a chiacchierare con i colleghi invece di lavorare sodo, come fanno loro.
E poi mi ha lasciato perplesso la domanda che mi ha fatto la caposala quando stava per compilare il modulo di accettazione: mi ha chiesto se volevo denuciare il GREST per chiedere un risarcimento.
Ma ogni occasione è buona per spillare soldi? I rapporti umani non esistono più? Vengono tutti mediati dai tribunali? La bambina stava correndo come spesso corre, può farsi male in qualsiasi occasione, non è stata malmenata dalle animatrici, è semplicemente caduta. I bambini sani hanno le ginocchia graffiate.
No, sono povero, non denuncio nessuno. Se fossi ricco forse sarei talmente avido da volere anche quei soldi; se la Legge è dalla mia, perché non prenderli? Ma siccome mi barcameno da sempre con il mio poco, e vivo più di rapporti umani che di denaro, ho imparato a considerare più importanti i primi.
Sarà una stupidaggine, ma qui, lungo le strade bianche, anche l’altro giorno mi hanno fermato e mi hanno donato tre meloni. Per i bambini, si capisce. E a me piace vivere così.