Ai più questo volto non dirà niente. A un gruppo di tre, quattromila persone si scioglierà il cuore. Perché quest’uomo è stato un umile viandante e orgoglisamente prete come andava firmandosi in questi ultimi anni (perché voleva che fosse chiaro che il prete era lui, che sapeva dare e dire, e non coloro che abusano di un potere per fare del male agli innocenti).
Giuseppe mi è capitato in gioventù tra i manifesti del Che, le canzoni di protesta, la new wave, l’estrema sinistra, la Teologia della Liberazione e il Vangelo.
Riconosco a me stesso di aver fatto delle scelte in antitesi ai dettami della moda. Ho vissuto i rimasugli dell’impegno politico, mi sono formato quando a John Travolta di sabato veniva la febbre; ero attorniato da pochi barricaderi e tanti cantautori che venivano eticchettati di sinistra anche quando cantavano l’amore. Il rock era a sinistra, la discomusic era qualunquismo, la destra non pervenuta. Un mondo fatto a compartimenti stagni che mi infastidiva. Ero convinto che il mondo non lo avrebbe salvato Marx, ma la cura per l’ambiente. Sono cresciuto in un mondo diviso da una cortina di ferro, dove l’armamento nucleare e l’uso dello stesso a scopi civili aveva il sopravvento. Ne ho intuito la nocività subito e ho marciato con altri non per fermarmi al NO, ma per chiedere forme più attente alla sopravvivenza del pianeta. I Verdi sono stati un’isola accogliente, anche se un po’ stretta, a tratti ortodossa. Lo sono ancora, ma credo che la vera rivoluzione sia ambientale. Il mio impegno mi aveva portato in sindacato. Essendo ancora impregnato di Marx (perché mi piaceva il rock, sia chiaro) mi iscrissi alla CGIL, ma mi son trovato subito male. Non c’era discussione come la intendevo io, erano tutti rossi. Così mi avvicinai alla CISL. Prima di entrare chiesi al sindacalista (che poi divenne un bravo maestro) se in CISL accettavano quelli di estrema sinistra. Si fece una risatina: «Nel nostro direttivo c’è gente di Democrazia Proletaria fino ad Avanguardia Nazionale». Quando vi entrai scoprii che era vero. La maggioranza era democristiana e socialista, ma gli estremisti di destra e sinistra erano battaglieri e, soprattutto, regnava il rispetto. Un’aria che non ho respirato quasi più. Erano direttivi di litigate, ma la sintesi che ne usciva diventava la via da seguire anche per le altre sigle. Era la democrazia, era il dialogo. Il dialogo, la democrazia significano conflitto, ma portano con sé il bene se lo scopo è conseguire il bene comune e non la sopraffazione. Poi, con gli anni, c’è stata un’omologazione, uno spartiacque tra centrosinistra e centrodestra che ha portato all’incomunicabilità e di conseguenza la sconfitta della classe lavoratrice.
Dentro la CISL conobbi questo prete, Giuseppe, era il responsabile Veneto della formazione. Giuseppe Stoppiglia e Antonio Cortese erano i pilastri che hanno formato molte persone nel sindacato. Educavano alla libertà e alla priorità della relazione. Molti, troppi si son persi per strada, ma dove hanno attecchito, hanno dato vita a una nuova umanità. Senza falsa modestia mi considero tra questi, la prova? Sono un vinto, ma con la sua umanità tutta intera, fedele all’oppresso.
Sono entrato nell’utopia di Giuseppe, l’ho fatta mia, aveva dato vita a un’associazione, Macondo, dove mi trovo ancora bene, all’insegna della relazione e la comunicazione tra i popoli. È stato il mio alimento, la mia forza, la mia speranza. Quello che sono lo devo a Macondo, questo mio essere incompreso, etichettato, non mi crea fastidio. Soffro perché non so trovare le parole giuste per disincantare le persone. Vorrei essere Harry Potter e fare una magia salvifica. Invece sono l’umile Sancho Panza, scudiero in male arnese della libertà, che fa la sua parte, disposto all’ingiuria e all’insulto nel nome di qualcosa di più grande di lui.
Giuseppe il settembre scorso si è congedato dalla terra. Eppure le sue parole mi ritornano ancora; davanti al dubbio, al desiderio di mollare tutto, a volte sento le sue parole di incoraggiamento, a volte la sua rabbia. Sapeva dosarle, lo si capiva a posteriori, voleva salvare la persona, sempre. Mi sento salvato ancora.
Giuseppe era la passione, l’istinto, i sentimenti primi della persona, aveva capito che con questi e solo con questi si riesce a entrare in una relazione, i ragionamenti, le parole fanno bella mostra in un testo, mentre la vita ha bisogno di calore, di sangue, questo mi ha lasciato per testamento Giuseppe. Io ci provo, non mi scoraggio, insisto, quando capisco di essere di troppo tolgo il disturbo, ma ne soffro, abbandonare un’umanità a dei manipolatori mi fa male, ma prima di tutto viene la libertà. E sopra di tutto la speranza, quando me ne vado mi avvinghio a questa, resto attento, osservo, se qualcuno che ha provato fastidio ascoltandomi e si ricrede, ritorno. Perché, Giuseppe me lo ha insegnato, lo scopo non è vincere, ma salvare l’umano.