Questi tempi

Provo sofferenza quando sento delle affermazioni, non solo di alcuni politici, ma della gente comune, che focalizzano il loro ragionamento sull’Io o, quando va bene, su un Noi privo di una visione totalizzante, un Noi che si contrappone a un Loro, dove Loro sono il peggio, il pericolo.
Probabilmente è dovuta alla mia visione partigiana del mondo, alla mia formazione, al mio sentire, se non speculare, di certo lontano dall’esaltazione dell’individualismo. L’individualismo che emerge nelle affermazioni estemporanee e nelle dichiarazioni di costoro è un’esaltazione di se stessi che non è finalizzata a riconoscere la propria unicità come valore aggiunto alla vita politica, ma come autoreferenzialità e pretesa di tutela del proprio ego da parte dell’Autorità che il più delle volte viene vista come un vessatore e quindi un nemico.
Per costoro il mondo si riduce a qualcosa di semplice, ovvero a se stessi e, se può far comodo, agli affetti.
Rifiutano la complessità della vita, si infastidiscono e sentono una pulsione distruttiva verso coloro o verso ciò che, a loro vedere, li ostacola o li minaccia nel diritto alla felicità.
Rigettano il concetto di inclusione, propongono il concetto di esclusione, ponendo come modello di riferimento non un insieme di principi, ma se stessi; a partire da loro, da quello che rappresentano, da quello che possiedono, si può costruire una società esclusiva. Per agevolare questa esclusività deve agire l’Autorità, stando bene attenta che se, per qualsiasi disgrazia, un soggetto avente diritto a essere parte di questa società dovesse trovarsi nella condizione di dover essere allontanato, rivendicano fattori come la rappresentanza per essere accettati: sono figli di generazioni che han sempre vissuto in quel territorio, hanno amicizie influenti, sono anticomunisti.
Peccato che il vero strumento che misura una società esclusiva sia quello economico. E allora quando cadono in disgrazia economicamente, con il rischio di uscire dall’élite, diventano facile preda di rancori, tendono ad accentuare lo spirito violento, sia per respingere tutti gli esclusi tra cui rischiano d’essere cacciati, sia per dimostrare che possono essere utili alle finalità delle élite diventando i loro cani da guardia.

Questo è il gran male del pianeta. Questa filosofia, che già ha distrutto il concetto di Dio Padre, che sta impoverendo e trasformando l’ambiente, che vive sulle diseguaglianze, ci sta portando ciecamente verso l’estinzione. Ma capisco che è un concetto o un allarme inesistente e incomprensibile da chi vede il mondo iniziare dal proprio corpo e finire nell’abito e nel paio di scarpe che indossa.
Tutto agisce in favore di questo status quo: la cultura dell’effimero, che si basa sulla distinzione tra perdenti e vincenti; le parole che calcano sulla paura di ogni diversità in bocca a molti politici; il fallimento di una Chiesa che inneggia all’essenza dell’uomo, ma rutta denaro; le nuove filosofie declinate da quelle orientali adattate per offrire un momentaneo benessere al singolo, quasi un massaggio ai piedi.

E allora non c’è speranza nel cambiamento? Esiste una piccola parte di umanità che non vive di paura, non vive per il denaro, considera la felicità dell’altro imprescindibile per ottenere la propria. Questa agisce, fa. Lo Spirito la sostiene, la alimenta, fa. Su questo essere, su questo fare, su questo credo, si gioca la sopravvivenza.

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