Dopo un’esegesi Gianluca mi ha scritto:
Grazie Alberto. Devo dire che questa interpretazione non mi trova particolarmente entusiasta. Trovo questa parabola troppo di parte. Troppo a favore di un racconto romano-giudaico-fariseo. Non riesco a capire perché, da parte degli esegeti attuali, questo rimarcare ebraico. Questo non riuscire a liberare Gesù da una corruzione di testi che non fanno che accostare. Non sento l’ Apostoli qui se non in qualche spaurita parola alta come montagna che si erge in un desertico passato…. Ma sicuramente sarò io che mi sbaglio. Leggendo questo ho come un sentore, che qualcuno voglia a tutti i costi farmi “tifare” per qualcosa che non è Gesù. Noto una specie di sabbie mobili… Ovviamente questa è una mia sensazione.
Che cosa si cela dietro questa affermazione di Gianluca? Credo ci sia la sensazione che l’opera di Gesù sia stata offesa, violentata, mercanteggiata, prostituita per altri fini.
Mi trova d’accordo, chi trova alimento nell’insegnamento di Gesù prova questo disagio. Solo una persona fortemente ideologizzata a un antireligiosità o interessata al proprio benessere economico può trovare blanda l’opera di Gesù.
Perché Gesù oggi trova difficoltà a essere compreso? Per dirlo sto chiedendo aiuto a Mancuso, a Kung, a Maggi, a Di Sante, a Stoppiglia e altri teologi. Niente è farina del mio sacco, sono solo una capra che si alimenta da altri, con tutti gli inghippi cognitivi della capra.
Però ci provo.
Gesù non è l’unico maestro a cui fare riferimento. Ce ne sono stati altri, si contano sulle dita di una mano, tutti gli altri, quelli che comunque chiamiamo maestri, in realtà sono guide, ottime guide, supreme guide, ma ci indicano una via che pure loro hanno appreso, non è una loro novità. Qualche nome? Migliaia, ma cito Francesco d’Assisi, Osho, Gandhi, Yogananda… Non li sto sminuendo, ma bisogna dire che i maestri sono coloro che hanno portato la novità, il nuovo, una buona novella.
Mancuso, riferendosi a Jaspers, dice che sono quattro: Socrate, Buddha, Confucio e Gesù. Non cita Lao Tzu, per esempio, non perché non sia un maestro, ma perché l’identità di Lao Tzu è ambigua, come quella di Omero: non si sa se siano esistiti o se in quel nome sono racchiusi tanti pensatori, tanti maestri o poeti. Solo per questo non lo cita, non perché il taoismo sia privo di spessore. È come per le Upanishad, i Veda hanno un valore inestimabile, ci sono state tramandate, ma chi è stato il primo a offrirle all’umanità? Non si sa. Il testo con tutta la sua carica sapienziale resta, mentre l’autore si è perso tra i rivoli della Storia. Ma quel che trasforma l’umanità è la Parola, non chi la pronuncia.
Parlando dei maestri, sappiamo che i seguaci di Confucio si chiamano confuciani; quelli del Buddha, buddisti; quelli di Gesù, cristiani. Ohibò! perché cristiani?
Mi ricordo che nel secolo scorso partecipai a un seminario dove era intervenuto Carmine di Sante, il quale -non ricordo il tema- esordì dicendo «Gesù Cristo, queste due parole non sono il nome e il cognome, Cristo non è il cognome di Gesù». Perché questa osservazione? Mi ci son voluti anni per capirla. Perché oggi dirsi cristiani significa, apparentemente, essere dei seguaci di Gesù. Non è così. Come dice giustamente Mancuso, i seguaci di Gesù dovrebbero chiamarsi gesuani.
Ma allora da dove arriva la tendenza a dare maggior forza a Cristo che a Gesù?
I testi che parlano di Gesù, anche quelli riconosciuti dalla Chiesa, sono tutto tranne che un solido e inequivocabile racconto. Ci sono tante differenze tra i vangeli sinottici (significa quelli con linee simili) mentre Giovanni è stato riconosciuto a fatica.
Quest’anno la Chiesa propone le riflessioni sul vangelo di Marco (il più vecchio vangelo, però appare come secondo nell’ordine canonico dei testi, prima c’è Matteo, non è casuale), dove esalta le opere di Gesù, poche parole e tanti miracoli. Giovanni invece lo rappresenta come un grande oratore con poche attività. Non si riesce a costruire un racconto uniforme, storico, chi ci ha provato ha visto la sua opera bruciata dalla Chiesa. In tempi recenti ci ha provato Ratzinger col testo che cita Gianluca per rivendicare l’adesione essena di Gesù. Ratzinger ha detto che la verità storica è quella evangelica. Bene, qualcuno gli ha fatto presente che Matteo quando parla delle beatitudini dice che Gesù stava su un monte, mentre Luca dice che si trovava in pianura: qual è la verità storica? Ratzinger dice, sconfitto, quella di Luca. «Katze, ho toppato», deve aver detto (katze vuol dire gatto, Ratzinger non dice parolacce).
Quindi quattro vangeli con tracce comuni, ma non identiche.
A questo vanno aggiunti gli Atti degli apostoli, su tutti San Paolo. Questi quando parla di Gesù parla del Cristo (ma nei vangeli Gesù dice di non essere il Cristo, il liberatore di Israele), costruendovi un’esegesi che non fa mai riferimento alle opere o alle parole di Gesù, vuole indicare il valore escatologico del pensiero cristiano, cioè il premio nell’aldilà per un comportamento retto, proiettando il Regno di Dio di Gesù (una società giusta da costruire sulla Terra, sulla scia di quella essena, per intenderci) nel Regno dei Cieli, il mondo di una dimensione altra, non quella terrena. Se penso che un ateo come Dario Fo lo aveva capito, mentre milioni di credenti stanno col naso all’insù a pregare i Padre nostri per avere un beneficio materiale… mi disarma.
L’esegesi paolina spazza via ogni parola di Gesù per soppiantarla con un’esegesi tutta escatologica, del premio finale, restaura il Dio non più padre, ma onnipotente e giudice; questa struttura ben si addice a una religione che, grazie a Costantino, riesce a conquistare il Potere ed esercitarlo. Ecco che allora si costruisce tutta una ritualità (come i sacramenti, per dirne una) finalizzata a un’obbedienza e a una gioiosa accettazione della sofferenza o dell’ingiustizia che saranno ricompensate dopo la morte.
Gesù è stato messo in croce definitivamente, nessuna resurrezione, ma la vittoria del potere temporale che ristabilisce le regole che Gesù voleva sovvertire e cancellare. Gesù ha fallito? A vedere i cardinali ben pasciuti e ingioiellati pare di sì. Ma esiste un’altra chiesa, silenziosa, invisibile, poco appetibile, quella dei poveri. A costoro delle anime coraggiose di gesuani la Parola la stanno raccontando e praticando.
Alla fine, caro Gianluca, che ti posso dire?
Gesù non è l’unico maestro, però è bello farselo amico, anzi è bello amarlo. Non fossilizziamoci solo su di lui, non ha spiegato tutto, come non lo hanno fatto gli altri. Ascolta le varie guide, sia quelle che si rifanno a Gesù, sia quelle che si rifanno ai credi orientali. Se quello che dicono è «Cerca il bene e difendilo fino in fondo; sii il bene che vuoi vedere», sono ottimi maestri. Però come dice Mancuso, non possiamo restare perennemente discepoli, i maestri hanno fatto di tutto per staccare il cordone ombelicale che li legava ai discepoli. Si chiama crescita, dobbiamo diventare l’espressione di quell’insegnamento. Ci stai provando tu, ci sto provando io, con tutte le nostre imperfezioni.