Una danza variopinta

Il percorso era lungo, col senno di poi mi rendo conto che il tempo impiegato era dovuto alle mie gambe ancora piccole. In genere lasciavo alle mie spalle la casa dei nonni e andavo verso i campi, lungo il sentiero segnato dalle ruote del trattore. Passavo vicino all’enorme lettiera dove paglia, urina e buina si mischiavano per fornire concime che ci avrebbe dato zucchero, polenta, pane e vino. Venivo richiamato dal fosso, che si divideva in due tracciando un cuneo di terra dominata da alberi, forse robinie e pioppi, allora non le sapevo identificare, un angolo acuto dove mi inoltravo poche volte. Non era grande, una decina di alberi lo occupavano, però per le mie dimensioni era un bosco. Il fosso mi bloccava il passo. Usciva da un tunnel artificiale, sopra ci passavano i due binari della ferrovia, ma ciò che mi affascinava e mi affascina ancora, era la corrente, il muoversi energico dell’acqua, gli sgorbi invisibili, trasparenti che disegnava nell’affrontare la discesa, una discesa dolce, impercettibile all’occhio eppure decisa, che spingeva quella poca massa d’acqua a valle. Rimanevo (e ci rimango ancora) a lungo ad ammirare il moto dell’acqua, mi piaceva (e mi piace) ascoltare il suono che emetteva nel suo passare, osservavo la forza del suo cammino, ammiravo il balletto instancabile delle alghe o la nuotata di un pesce, sentivo una grande pace entrarmi nel cuore. La corrente d’acqua di un fosso è il mio canto delle sirene, mi cattura, mi affascina, mi rende felice. Lo stesso fascino non me lo dà la forza di un fiume o l’onda del mare, quelli sono troppo imponenti. A me piace quello scorrere sottotono, costante, presente, vivo, tipico della semplicità di un fosso o di un torrente. Il torrente può essere impetuoso, ben venga. Credo che ciò che mi strega sono le piccole dimensioni che racchiudono una potenza inaudita. In un fosso o in un torrente ci vedo la metafora della vita. Ogni vita ha la sua forza, anche quella che si crede, erroneamente, insignificante.
Se, come Ulisse, riuscivo a vincere il richiamo dell’acqua corrente del fosso, proseguivo lungo il sentiero che confinava con la ferrovia e andavo a scoprire la natura.

Quella mattina di fine primavera, soleggiata, mi ero spinto avanti, il vigneto stava a sinistra e la ferrovia, alta rispetto al piano dove mi trovavo e con la sua recinzione in cemento, tinteggiata di calce bianca che contrastava con il grigio scuro dei sassi e la ruggine dei binari, stava a destra.
Dal lato della ferrovia notai, per la prima volta, una piccola discesa. Mi sembrò l’imprevisto delle favole, la via da non percorrere e che il protagonista imprudentemente sceglie per proseguire, così feci io.
Era una discesa stretta, coperta dall’erba, un adulto non l’avrebbe notata, scendeva dolce per un metro. Mi decisi a seguirla, a vivere l’imprevisto della favola.
L’erba era alta, mi arrivava all’ombelico e intorno c’erano delle giovanissime verdi robinie. Entrai in quel mare verde e rimasi fermo a osservare quel posto magico. Poco dopo mi trovai avvolto non dagli spruzzi delle onde, ma da una miriade di colori. Uno stormo di farfalle volteggiava in modo disordinato. Dovevo socchiudere gli occhi, anche con un po’ di timore, le trovavo impetuose, ma era bellissimo!
Non lo so per quanto rimasi lì, col sorriso e con le palmi delle mani rivolte verso l’alto, forse sperando che vi si posassero. Me la rivedo ancora oggi, se ci ripenso, quella naturale psichedelia mi dona ancora la stessa leggerezza.

Qualche giorno dopo ritornai a cercare il luogo delle farfalle. Non ero più riuscito a vedere la discesa, l’erba era cresciuta e l’aveva nascosta. Non mi persi d’animo e provai a scendere un po’ a casaccio, ma non ho più ritrovato il luogo delle farfalle. Non ho più provato la gioia e l’ebbrezza di quella danza dionisiaca di ali colorate. Era stato un dono, un bel dono ricevuto da non so chi. Oggi mi fa pensare che l’anonimo donatore mi ha voluto far conoscere il kairos, il tempo propizio, l’occasione da cogliere; non si ripete, non si può rimandare o lo si vive in quel momento o passa via. Il kairos è breve come la vita di una farfalla.

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