Camminando lungo le strade bianche in questo periodo si può godere dei colori autunnali, le foglie si stanno svestendo del verde per assumere toni ocra, rossicci, marroni per poi cadere a terra, per contribuire a renderla fertile, ultimo dono per chi verrà. Il raccolto è stato portato a termine, si sta preparando la terra all’apparente riposo invernale, si godono gli ultimi sprazzi di sole che scalda solo a mezzogiorno, si accatasta la legna, insomma ci si prepara all’Inverno.
In questo momento di avvicinamento alla quiete, io sono andato controcorrente, e ho dato alle stampe il mio secondo romanzo: “I giorni cattivi”.
È una storia lontana da queste strade bianche, che in qualche modo avevano contribuito a far muovere i personaggi del mio primo lavoro.
Con questo lavoro mi sono guardato intorno, ho guardato l’attualità, la frantumazione sociale ed etica che stiamo vivendo, quasi con rassegnazione, quasi non ci sia altro da fare che abbandonarsi a un amaro: «Ormai…»
Vivo quella che mi sembra un’assurda corsa inarrestabile dell’Occidente nell’esprimere il peggio di sé: l’autoaffermazione a tutti i costi, l’arricchimento facile, l’invidiosa ammirazione per il potente, il pauroso disprezzo per il povero, la politica come strumento di difesa di interessi di categoria, o di casta, come è in voga dire oggi.
Quest’abbruttimento che, dando retta alle Scritture, è attribuibile all’adorazione di Mammona, ci coinvolge ogni anfratto della nostra esistenza tanto da misurare ogni pensiero, ogni azione collettiva e privata con l’unità di misura chiamata mercato. Si licenzia per restare nel Mercato, si evade il Fisco per restare nel Mercato, si lavora dodici ore al giorno altrimenti si rischia di essere buttati fuori dal Mercato del lavoro, ci si indebita perché lo richiede il Mercato, perché quello che siamo si esprime nelle cose che possediamo e dobbiamo possederle. Siamo diventati vittime delle cose, gli oggetti hanno la meglio sull’essere.
Stiamo vivendo una caduta sociale, morale ed economica da fine di un Impero, dove i nuovi barbari non sono portatori di novità, ma, drammaticamente, ripropongono lo stesso modello di espansione, sopraffazione e distruzione ambientale che ci ha caratterizzato e ci caratterizza. Da costoro non mi aspetto niente di nuovo, solo il lento consumo dell’esistenza. Forse non l’avevamo capito fino ad ora, ma la Società dei Consumi non è caratterizzata dalla circolazione della ricchezza attraverso l’acquisto di merci, ma dal consumo vero e proprio, cioè dal deterioramento morale e materiale del genere umano e del Creato fino al suo annullamento.
Non c’è speranza dunque?
Credo ci sia, anche se non la vediamo. I cambiamenti culturali sono sempre arrivati dalla periferia del mondo urbanizzato e dalla baracche dei dimenticati,e lo sarà anche questa volta. Dal centro del mondo urbanizzato verso le periferie è sempre arrivata la sopraffazione e il dominio.
Non mi aspetto il mondo perfetto da questo cambiamento, mi aspetto un mondo diverso, che almeno recuperi l’importanza del genere umano e del mondo che lo accoglie, e che consenta una vita comunitaria rispettosa degli ultimi e delle minoranze.
Questi sono i pensieri che mi hanno spinto a raccontare la vita di un giovane impiegato, seguire i suoi passi nella sua difficoltà di vivere i tempi, nelle sue storie d’amore, nella sua ricerca di un senso.
I personaggi hanno nomi anche stranieri, perché non volevo che si cadesse nel tranello di credere di leggere una parodia dell’Italia. No, non lo è, la mia intenzione è stata di fotografare il franare della cultura occidentale che è un dramma molto più grande delle impietose e ributtanti scene che la politica e la società italiana ci propinano. C’è in gioco la sopravvivenza del Pianeta.