Compleanni, sponsorizzazioni e ricordi

Oggi la mia signora entra negli …anta (ma non lo dimostra, nel modo più assoluto) e io mi sono preso una giornata di ferie… per accusare il colpo! (Scherzo, dovevo consumare un paio di giorni di ferie entro l’anno e uno l’ho dedicato al suo compleanno -torte, regali ecc…-).
Assolta l’incombenza mi è rimasto del tempo e sono andato a Jesolo a sponsorizzare il libro.
Spero di organizzare una serata in biblioteca così da raccogliere le persone che mi hanno fatto ricevere il messaggio di gradire una copia del primo libro e, spero, altre. In biblioteca ho incontrato due gradite conoscenze: Lorena, con cui scambiavo il saluto, frequentavo delle sue cugine quando avevo trentacinque chili in meno e i capelli erano tanti e castani, ma non le sono venuto in mente e continuava col rispondere lei al mio tu; l’altra, Cristina, era tra le più carine della mia classe delle medie primarie, quella che collezionava cuori infranti.
Avendo ancora del tempo a disposizione ho deciso di andare a incontrare una donna speciale. Ho suonato al citofono, la voce femminile mi ha chiesto chi ero.
«Alberto Camata».
«Ho chiesto chi è!»
«Alberto Camata».
Niente, ho aspettato un po’ ma il portone non si apriva. Il figlio ha il negozio vicino, caso mai andavo a chiedergli di intercedere. E invece il portone ha fatto “stock” e si è aperto.
Entrato nell’atrio l’ho vista nel pianerottolo.
«Non scenda, salgo io!»
Mi ha accolto col sorriso e la benevolenza delle persone anziane quando sono felici di essere ricordate, e mi ha invitato a entrare in casa sua senza guardare il disordine (che non c’era).
E così la mia maestra mi ha fatto accomodare in salotto, si è detta contenta di vedermi, era meravigliata.
«Vi ricordo tutti come eravate e faccio fatica a riconoscervi oggi, donne e uomini con famiglia!»
È una donna con i suoi acciacchi e le attenzioni a cui si abituano i vecchi per soffrire meno, ma è sempre lei, la mia maestra arrivata da Ghedi, Giuliana Pedercini, sposa, ora vedova, Agostini.
Mi ha chiesto del più e del meno, mi ha raccontato le sue magagne, mi ha ribadito il suo entusiasmo nel leggere “Un nome rubato”, che sono stato capace a farle rivedere il mondo della sua infanzia e giovinezza, dei contadini dai corpi sudati sotto il sole, che si spostavano in bicicletta tenendo la falce su una spalla, la cattiveria fascista…
Mi ha chiesto come avevo fatto a raccontare quelle cose senza averle vissute.
Le ho risposto che erano il frutto delle narrazioni di nonna, degli zii, racconti snobbati in gioventù, apparentenmente; le parole dette ai giovani sembra che vengano rifiutate, in realtà si sedimentano in qualche parte recondita del cuore e si fanno Storia, la propria Storia, tramandata e vissuta da chi ci ha preceduto. Non si perde niente di quello che raccontiamo, la Storia diventa parte viva di coloro che ascoltano.
Anche le sue parole, che dall’alto dei suoi ottantun’anni racconta, non saranno mai parole perse, dimenticate, prima o poi affioreranno, ascoltando una strofa di canzone, recitando un endecasillabo, osservando un quadro, una foto, un fosso. Qualcuno le ricorderà.
Ho provato tanta tenerezza nella sua difficoltà a ritrovare le coordinate per focalizzare chi formava la mia classe. Allora ho cominciato a dire la formazione, nomi che anch’io credevo di avere dimenticato, ma che affioravano, e anch’io rivedevo i volti dei ragazzini che eravamo, incapace di disegnare ai più il volto delle donne e degli uomini che siamo diventati. La maggioranza di loro sono quasi quarant’anni che non li vedo, non saprei riconoscerli. Mentre lei ci teneva a ricordare il lavoro di ognuno, chi avevano sposato, le coppie che si erano formate dentro quella classe, quasi si sentisse ancora responsabile di tutti noi, la mano lunga che non ci ha mai abbandonato, ancora attenta che ognuno sappia svolgere al meglio il proprio compito.
Le ho dato una copia del nuovo libro, mi ha detto che metterà in movimento il figlio maggiore per farmi fare una serata nella più importante biblioteca di San Donà. Ho ringraziato.
Poi un orologio ha suonato le dodici. Mi sono congedato, non senza averle fatto gli auguri di Natale, entrambi contenti di esserci rivisti e salutati, non più come alunno e maestra, ma come due persone che sanno di aver condiviso cinque anni importanti di vita.

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