Il lato oscuro

Nell’agosto del 2017 nella notte di luna nuova noi che partecipavamo al gruppo yoga al mare, ci siamo trovati per capire, attraverso pratiche yoga, poesie, racconti, esegesi se esisteva un lato oscuro.
Laura aveva esplorato il lato oscuro femminile raccontando di Lilith, la prima compagna di Adamo. Intuendo che avrebbe affascinato la platea e avrebbe sminuito l’obbediente Eva, io avevo portato l’esegesi di Gen 3,1-24, per riscattarla. Questo è il mio intervento.

Gen 3,1-24

1Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: -Non dovete mangiare di alcun albero del giardino-?». 2Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: «Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete»». 4Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
14Allora il Signore Dio disse al serpente:

«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
15Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».

16Alla donna disse:

«Moltiplicherò i tuoi dolori
e le tue gravidanze,
con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ed egli ti dominerà».

17All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: «Non devi mangiarne»,
maledetto il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
18Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi.
19Con il sudore del tuo volto mangerai il pane,
finché non ritornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere ritornerai!».

20L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
21Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì.
22Poi il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». 23Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. 24Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita.

Sono stato catturato da una frase di Emil Cioran leggendo i suoi Quaderni: «… ma Elohim sa che il giorno in cui ne mangerete, vi si apriranno gli occhi…».

Sottolinea “vi si apriranno gli occhi”, indicando che qui sta il dramma della conoscenza, afferma di seguito:

«Vi si apriranno gli occhi! È tutto il dramma della conoscenza. Il paradiso: guardare senza capire. L’unica condizione alla quale la vita sarebbe tollerabile.»

L’albero della conoscenza è posto al centro dell’Eden e la vita ci gira attorno. Ma il frutto dell’albero della conoscenza non deve essere colto, avverte Elohim. Dio non proibisce, ammonisce. L’Eden è un giardino dove tutto è regolato dall’armonia. Il dolore, il male non sono presenti. L’Eden come allegoria della religione, oasi di pace e salvezza, dove Dio si carica tutto il peso del male e del dolore, lasciandoci il piacere, la felicità. Perpetuare quest’esistenza richiede però il divieto di attingere alla conoscenza, così fanno le religioni, non ti chiedono di pensare, ti danno loro le risposte a tutti i quesiti vitali, questo rassicura, non pone turbamenti. Gli abitanti dell’Eden conducevano giorni in uno stato di estasi, ignari della morte.

L’astuto serpente, colui che sa leggere il contesto e lo gestisce a suo vantaggio, si avvicina agli umani e non li tenta, li seduce, Dio vi dice di non cogliere il frutto della conoscenza altrimenti sarete simili a lui.

L’essere umano era già fatto a immagine e somiglianza di Dio, che cosa gli mancava per essere del tutto simile a Dio? Portare il fardello del dolore e del male.

Il serpente ha notato questo carico sulle spalle di Elohim e solletica la curiosità di coloro che tra i viventi dell’Eden più gli assomigliano, spronandoli a condividere quel carico. Dei due chi intuisce le parole (non le capisce, non ha la conoscenza) è la donna, la parte femminile dell’umano. La donna non risponde a un’ambizione (per ambire bisogna conoscere), ma a un gesto d’amore, vuole essere simile a Dio non nella gloria, era già beata e felice, appagata di tutto, vuole essergli simile nella fatica, vuole alleggerire a Dio il carico, per questo coglie il frutto della conoscenza, il sapere. È un gesto di misericordia della donna verso Dio.

A fatto compiuto hanno saputo di essere nudi. Il sapere non li ha aperti alla gioia della scoperta, della comprensione del mondo che li circonda, ma sfodera un’arma che deforma la percezione che avevano di sé stessi fino a quel momento, si moralizzano e si censurano, deprecano la loro nudità, considerano cosa immonda mostrarsi liberi, si nascondono e si coprono i genitali, celano la parte più importante del loro corpo, gli organi del piacere e della riproduzione. Dimenticano che così li ha voluti Dio, nascondere i genitali è vergognarsi della parte generante, della parte vitale, è quasi un biasimare Dio per la loro creazione, dimenticano il bene di Elohim rivolto a renderli felici. È la prima crepa del rapporto tra l’umano e il suo creatore.

L’essere umano trova riprovevole avere una parte di sé che genera e che esprime nella passione sensuale l’amore che prova verso l’altro. Si vergogna della gioia che Dio offre loro. Moralizzando la loro esistenza, inizia il loro inferno.

Quando Dio lo interroga (Gen 3,9) pone la domanda «Dove sei?», non tanto per sapere le coordinate fisiche, quanto per sapere dove si trova in quel momento nel rapporto che c’è tra loro: si è allontanato? Non lo ama più come prima? In quel «Dove sei?» c’è l’angoscia dell’innamorato. A quanto pare si è allontanato, altrimenti non si sarebbe vestito, dimostrando una critica verso il Suo operato.

Lo sa che ha colto il frutto, tuttavia glielo chiede e l’uomo si esprime nel male, scaricando ogni responsabilità alla donna, si chiama fuori. La donna prosegue su questa strada, affermando che il serpente l’ha ingannata, mentendo. Il serpente ha detto loro la verità, infatti hanno aperto gli occhi, ora conoscono il male e ne stanno dando dimostrazione.

Dio non è irato, ma constata che da quel momento tutto è cambiato.

Si occupa per primo del serpente, dell’astuzia che sa leggere il mondo per modificarlo per i propri fini usando la seduzione. Quest’atteggiamento lo ritroveremo nelle tentazioni vissute da Gesù nel deserto. A pensarci bene il serpente è un intellettuale che non mette a servizio degli altri il suo lavoro, ma attraverso questo li soggioga ai propri interessi. Arriva alla conoscenza senza aver attinto dall’albero, analizza il contesto e l’ammonizione di Dio e conclude che il frutto dell’albero ne minaccia la supremazia; la sfida lo infiamma, ma è vile, non coglie per sé stesso il frutto, induce l’umano a farlo, per valutarne le conseguenze, capire che cosa significa morire.

Dio gli rimprovera questa supponenza e abbassa il rettile, lo condanna a strisciare, lo costringe a un gesto di umiltà, per aver ambito a servire sé stesso anziché gli altri.

Nell’Eden ci sono due alberi al centro: quello della conoscenza e quello della vita. Al serpente non importa cogliere il frutto della vita, è un’esperienza che conosce, vuole capire che cosa succede nella morte. Tra l’eternità e il sapere, l’uomo, seppur sedotto, ha scelto il secondo.

«Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe» (Gen 3,15)

Più che alla donna si deve far riferimento al femminile, dove si sviluppa l’amore. Ci sarà inimicizia, cioè inconciliabilità tra il serpente, che sfida il Creatore, e il femminile, che ama il Creatore; l’umano è condannato da questo momento a sentirsi sedotto dal Potere e dall’Amore, due poli opposti. Il Potere vorrà sconfiggere l’Amore usando il male; l’Amore vorrà sconfiggere il Potere usando il bene. Il femminile vincerà sul serpente, ovvero la vita regna quando l’Amore schiaccia il Potere, anche se questi non morirà mai, le insidierà sempre il calcagno (Gen 3,15).

Poi si rivolge alla donna e all’uomo e spiega loro le conseguenze dell’atto commesso, non come punizione, ma come evoluzione inevitabile.

Alla donna si moltiplicheranno i dolori, esperienza che non l’abbandonerà neppure nelle gravidanze; all’uomo amato offrirà tutta sé stessa, ma l’uomo la dominerà, ovvero non riceverà mai piena attenzione, conviverà con questa disuguaglianza. La donna, espressione dell’amore donato al mondo attraverso la gravidanza, non conoscerà mai l’amore pieno del marito, più di lei sedotto dal Potere, essendo lui il lavoratore della terra, quindi tentato dall’accumulo, dalla conquista di territori. All’uomo non sarà più gradevole prendersi cura della terra come era accaduto nell’Eden, ma diventerà un lavoro ostile, faticoso. Una fatica che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni, quando lui, tratto dalla terra, tornerà alla terra. Il testo dice che l’esistenza termina così: fra la conoscenza e l’eternità è stata scelta la conoscenza.

«L’uomo chiamò sua moglie Eva» (Gen 3,20), si ripresenta una situazione simile a quella dove l’uomo ha dato nome agli animali (Gen 2,18) quando Dio voleva dargli un compagno per lenire la sua solitudine e li creò davanti ai suoi occhi.

Dare un nome è un atto non di possesso, ma di responsabilità e di affetto. Così il primo uomo creato ha dato il nome ha chi è venuto dopo per sentirsene legato. L’uomo chiama la moglie Eva (Hawwah, la cui radice è hajah, vivere), cioè colei che dà la vita.

Dio dà il nome all’uomo «polvere tu sei» (Gen 3,19), Adamo significa questo, appartenente alla terra. Nel nome gli ricorda la sua consistenza: polvere. Gliela ricorda perché, come il serpente, sarà affascinato dal Potere, quindi non lo condanna a strisciare, ma l’umiltà gliela dà nel nome, così che se lo senta ripetere quando lo chiameranno.

Infine li scaccia dall’Eden (Gen 3,22) perché non mangino dell’albero della vita. Non lo fa per salvaguardare il suo primato, possedere eternità e conoscenza significa essere Dio, lo fa per non caricarli e caricarci di un fardello che noi, polvere, non sapremmo sopportare: l’eterna lotta contro il male.

Ora mi impantano nell’eresia.

Le religioni hanno scaricato il Male sull’uomo (pensiamo alla fandonia del peccato originale) perché non potevano lordare l’immagine di Dio affermando che il bene e il male hanno origine in lui. Dio è puro Amore.

Non vedo il dramma nell’affermazione che, essendo noi a Sua immagine e somiglianza, oscillanti tra il bene e il male, capaci di amare e di odiare, di servire e di opprimere, Dio debba esserne esente. Se il male è esterno a Dio significa che qualcun altro lo ha creato: chi? Se è nato con l’uomo e l’uomo lo ha creato Dio, il male lo ha generato Lui. Credo che dobbiamo rassegnarci all’idea che l’esistenza è l’insieme di queste due valenze e dobbiamo conviverci. Senza attribuire colpe a nessuno: è così. Il bene e il male convivono in noi e in Lui, a noi e a Lui la libertà di decidere quale aspetto far trionfare. Lui lo ha deciso dandoci il mondo, inizialmente l’Eden; e noi? Dio non imbroglia, non nasconde niente, al centro del giardino si trovavano due alberi: la conoscenza e l’eternità. Avendo mangiato dal primo siamo costretti all’esperienza della morte. Glielo aveva spiegato, lo aveva ammonito, senza proibizioni, mantenendosi sul terreno dove costruisce la relazione con l’umano: la libertà. E che la libertà era ed è piena lo dimostra la mancata recinzione dei due alberi o dell’assenza di sentinelle, si era limitato a informare.

L’Eden, il giardino, i profumi, i colori, la freschezza delle acque, l’ombra rigenerante degli alberi sono il luogo ideale per realizzare il bene, l’armonia delle creature spinge il male alla pochezza, tuttavia sufficiente per attivare il serpente. Il serpente gode di un’alta considerazione simbolica, tra tutte la guarigione, il rinnovamento e la rinascita. Il male usa questo simbolo per cancellare il luogo voluto da Dio e lo fa seducendo i custodi del giardino.

Nel giardino il male si insinua perché non ci sono guardie, perché Dio e il bene che da Lui si irradia nel mondo, da quest’ultimo viene assorbito, metabolizzato e restituito in quantità maggiore; non viene difeso, non è necessario, nel momento in cui si manifesta è lui stesso la sua difesa, dove c’è il bene il male svanisce.

Dio non offre sicurezza, equivarrebbe costruire recinti, uno zoo dove umani annoiati girano nelle loro gabbie. Dio offre libertà, con gli annessi pericoli, ci spiega come vivere nella libertà, di che cosa occuparci, quale dev’essere il nostro agire, ovvero dare e ricevere amore. Gesù lo ha spiegato bene nelle Beatitudini, dove ci avverte che, sebbene avvolti dallo spirito del bene, non saremo preservati dagli attacchi del male. Una cosa aggiunge, non saremo mai soli, il Padre sarà sempre davanti a noi e con noi.

Il racconto non fa trasparire il dolore di Dio, ci ha creati per diffondere il bene e sconfiggere il male. Tuttavia la nostra scelta per la conoscenza Lo ha costretto ad allontanarci dall’Eden, non per punizione (Dio non punisce, Dio ama), ma per salvarci da una condanna, una vita eterna di lotta contro il male. Questo destino se l’è tenuto per sé stesso, se l’è caricato totalmente (ce lo ricorda Gesù in croce). Ha acconsentito che con la conoscenza alleggerissimo il suo peso, ma non ce lo ha inflitto per sempre, ci ama troppo per condannarci a una simile sofferenza, ci ha limitato l’esistenza a un tempo sufficiente per noi per esprimerci e donare amore, oppure scegliere il male, ma una vita votata al male è ancora più difficile da sopportare in eterno.

Infine ha dovuto svanire agli occhi degli uomini, condizione necessaria per non essere invidiosi di Lui. Sceglie dei profeti per ricordarci che ci è vicino, ma li ascoltiamo poco. Chi li riconosce li chiama Maestri, sono un parziale alfabeto vivente di tutte le lingue parlate da Dio, eppure fatichiamo ad ascoltarli.

Viviamo angosciati dalla forza del male, dalla prepotenza e dalla ferocia con cui sovente si esprime, ci sembra che abbia la meglio. Non è così.

Ognuno pensi per un attimo a sé stesso, analizzi la sua vita. Di certo troverà degli episodi dove il cattivo che ha dentro è emerso, ma quanti sono stati quelli dove si è espresso nel bene, anche con gesti minimi? Il bene è sempre, sempre, sempre superiore al male.

Siamo usciti dall’Eden, abbiamo il sapere e uno scampolo di vita, possiamo renderla piena, divina (ne siamo immagine) o vuota e tetra: siamo liberi di scegliere.

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