Non agire

Ritrovarsi in un groviglio di pensieri che spingono disordinatamente per uscire e avere una pagina bianca dove adagiarli ordinatamente, senza sapere da dove cominciare, è imbarazzante.

In questo tempo mi son trovato a scivolare gioiosamente e inconsciamente tra le montagne russe della mia spiritualità: attimi di pace che si succedevano ad altri di terrore, ma con il profondo convincimento che li stavo affrontando con sicurezza.
È stato un percorso, è un percorso (non l’ho completato), dove voglio spogliarmi dell’idea di Dio per giungere a Dio.
Le esegesi che ho fatto mie, le testimonianze dei saggi che mi hanno permesso di entrare nella Parola, mi hanno portato a un punto non dico di disorientamento, ma in un vicolo cieco: non so chi sono, non so dove mi trovo, non so a chi affido il mio spirito. L’unica certezza è questa: non so.
Le domande di senso hanno perso il loro senso, così mi pare. Condivido l’aria con gente convinta che le proprie espressioni e azioni spirituali siano quelle giuste e tutt’intorno, in tutto quello che reputano diverso, ci sia l’errore.
Eppure lo Spirito, entità invisibile, ma percettibile, mi anticipa, mi sta a fianco e mi sorregge come si fa con un bambino che impara a camminare.
Dei maestri hanno provato a spiegarcelo con racconti, immagini, parabole, ma quanto ci è giunto di tutto questo oggi? Poco e quel poco è malleabile, adattabile, contorcibile alle intenzioni di chi racconta. L’ho fatto anch’io? Probabile. Perché dello Spirito speriamo sempre di trovare la chiave giusta per consegnare a sé stessi e agli altri delle norme di comportamento.

Questa sera credo di essere pervenuto a una meta. Lo Spirito non lo si analizza, non lo si razionalizza in una regola o in un comportamento, non ha bandiere. Stupido e disonesto affermare che lo Spirito lavora secondo le indicazioni del Vangelo, dei Veda o del Tao. Lo Spirito lavora anche così, ma va oltre.
Dello Spirito si percepisce la presenza, chi dice di non sentirlo, mente. Come operi ci rimane oscuro. Se servono i digiuni, le preghiere, lo yoga o le meditazioni per sentirlo, ben vengano. Sono tutte inutili e sono tutte importanti. Sono inutili se crediamo che sia l’atto che ci porta a rivelare lo Spirito; sono importanti se crediamo che siano un mezzo affinché la nostra limitatezza ci permetta di avvicinarci a esso. Siamo noi stessi che ci dobbiamo plasmare, renderci duttili, modificarci per entrare in armonia con lo Spirito. Lo Spirito è in sintonia con noi da sempre, eppure non lo percepiamo. Siamo noi in difetto? Lo chiedo senza alzare la categoria della colpa, la trovo talmente stupida, prende corpo dal giudicare; ma quanto discernimento abbiamo noi per giudicare, per poter dire che nell’errore siamo noi?

Sbagliamo perché siamo prigionieri della mente, così sento dire, quasi che possedere la mente sia stata una nostra intenzione. Non è così. Mi sono trovato composto di materia, mente e sentimenti. Mi ha formato un’entità superiore? Sono così grazie alla Natura? Se sono tale per una volontà superiore, non si è mai palesata, la sua eventuale esistenza l’ho appresa per “sentito dire”. Se sono tale per una combinazione naturale, non vedo perché darle una deità che non le appartiene. Chiamiamo Natura un susseguirsi di combinazioni chimico fisiche che mutano grazie a un delicato equilibrio; se interviene un agente esterno ad alterare questo equilibrio, la Natura si adatta a questa nuova situazione. Quindi non c’è un’entità superiore che chiamiamo convenzionalmente Dio e non c’è una Natura pensante. Tuttavia sento che oltre ai bisogni primari c’è altro. Mi piace la parola, mi piace il racconto, mi piacciono i ricordi, mi piacciono i drammi e le comiche. E oltre l’ascolto mi piace sentire.
Sento delle sensazioni che mi arrivano dal vento, dal mare, dal sole, dalla pioggia, da uno sguardo. Sento che la mia solitudine non è solitaria. Non riesco a restare solo neppure se mi isolo. Sento un Tu, ne colgo la presenza. Sento che posso concentrarmi su una parte del mio corpo, isolarlo dal resto della massa, tastarne la consistenza solo col pensiero. Questo mi porta a pensare che sono altro da quello che vedo.
Che triste invenzione sono stati gli specchi! Ci siamo visti e ci siamo giudicati. Un animale non si vede e non si giudica, vive. Invece noi abbiamo fatto delle selezioni: bassi, alti; belli, brutti; giovani, vecchi; sani, malati; maschi, femmine… E abbiamo permesso che queste selezioni condizionassero le nostre vite.
Io sono nato maschio e le convenzioni sociali che si sono costruite nei secoli mi hanno dato degli indirizzi a cui mi sono dovuto adattare: non devo piangere; devo amare la guerra, la lotta; non devo indossare la gonna; non devo raccogliere i fiori; devo sentirmi orgoglioso del mio pene; ho delle esigenze e posso andare a puttane; la spiritualità è per le femmine, i maschi è meglio che vadano in osteria con gli amici a bere; se non reggo fumo e alcol non sono un uomo. Ma non mi sono mai sentito questo, l’ho scimmiottato. Eppure è su questo che ci confrontiamo, costruiamo dei vertiginosi orridi tra di noi. Su questo abbiamo costruito le civiltà, fatte di soprusi e domini.

Ormai ho attraversato la maggior parte del mio tempo in questo mondo e devo riconoscere che è vero, a una certa età non si ha più voglia di controbattere, di irrigidirsi per dare vigore alle proprie ragioni. Si lascia perdere, ci sia abbandona al wu wei, non per sconfitta, forse per vittoria. Ognuno ha i suoi tempi, anche coloro che ci fanno presente che ci lasciamo ingannare dalla mente e poi ci cadono in modo palese. Fino a pochi minuti fa con costoro avrei polemizzato, da ora lascio perdere. Quando sarà, se sarà, lo capiranno da soli. O meglio lo capiranno se sapranno aprire le orecchie e il cuore allo Spirito e non all’idea che si son fatti dello Spirito.

Strana la quiete che sto provando, mi pare di osservare l’umanità da lontano e non lo so se è un bene. Non è più battaglia stare in questo mondo, non è più luogo per concretizzare desideri, mi chiamo fuori. Resta solo il Tu e mi sta dicendo che la prova più grande è riuscire ad amare il mondo per quello che è, di parlare solo se richiesto e prima di parlare tacere, tacere molto. Si cambia il mondo con la testimonianza e non con le parole. Sbaglio se penso di direzionare la mia vita per diventare un testimone, non ne sarei capace. Sono solo capace di essere niente, sento che dovrei lavorare per essere niente, sparire. Sento che la mia pace si trova là, nel nulla.

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