Perché tutto ha un nome e perché è un inganno

1) In principio…
Tutto quello che vediamo è nato da un suono, lo sta provando a fatica anche la scienza, ma nella vita di ogni umano c’è un sentire che va oltre i calcoli e i teoremi, un sentire che ci permette di intuire che c’è un oltre, che qualcosa di più complesso e amorevole ci osserva, ci passa attraverso, si ferma in noi, resta in noi.
Se fossimo i primi umani presenti sulla terra, vivremo delle emozioni di base: la paura che ci permette di sopravvivere, la felicità per aver trovato un albero con della frutta matura, la rabbia per aver smarrito un oggetto o aver ricevuto quella che riteniamo un’offesa, la tristezza per un bacio non ricevuto o per un ricordo che affiora, il disgusto che ci permette di scegliere se mangiare un fico o un sasso, il disprezzo verso un altro (è un emozione base, contribuisce a formare quello che chiamiamo il Male che vive in noi).
Come primi abitanti di questo mondo cercheremo di dare un senso all’inquietudine che abbiamo dentro, perché siamo così, animali, cioè dotati di anima, il motore che ci permette di fare ogni cosa, ci chiederemo che cos’è tutto quello che vediamo, con i suoni che emettiamo cercheremo di comunicarci le scoperte.
Capiremo che quella palla gialla che ci osserva in mezzo all’azzurro ci fornisce luce e possiamo vedere tutto, sentiamo un piacevole calore che dà gioia. Quando manca, tutto diventa nero, indistinguibile, freddo, cresce la paura. Non ci metteremo molto a capire che tutto esiste perché c’è la palla gialla. Quella palla, inarrivabile e presente, diventerà la forma fisica di quel sentire che ci ha permesso di capire che c’è un oltre. Quella palla gialla è il mistero dell’Oltre, presto le daremo un nome: Dio-Sole. Dio si fa presenza nella nostra vita, a quel dio impassibile cercheremo di parlare e di ingraziarci a lui e ringraziarlo. Inizieremo a raccontarci le storie su questa grande forza che ci domina, inventeremo storie umanizzate per averlo più vicino, per capirlo. Nascono i miti che, con la scrittura verranno impressi e li chiameremo Veda, Bibbia e altri testi sacri (tanti li abbiamo persi) che ci danno le indicazioni su come avere una vita protesa al bene, ci insegneranno a gestire le emozioni per liberarci da questa catena che ci trattiene alla terra, mentre sentiamo di avere da qualche parte le ali adatte al volo: cresce in noi lo Spirito, che è la sola cosa che ci differenzia dagli altri esseri viventi.

2) Produciamo i suoni
Nella Bibbia, nel primo libro, la Genesi, Dio dice al primo uomo, Adam (=fatto di terra), di dare un nome a tutte le cose.
Perché dà all’uomo l’ordine di dare un nome e non lo fa lui? Perché a Dio non serve nominare le cose, le conosce già, sono espressione di se stesso, sono il Tutto e quindi non ha bisogno di dare un nome. Diversa è la condizione dell’umano.
L’uomo nasce per volontà divina, gli vengono date delle qualità speciali che l’uomo subito gestisce in maniera errata. Dare il nome a tutto lo vede come un segno di dominio, mentre il dare il nome significa riconoscere l’altro, un altro che è diverso da me, ma che ha la mia stessa importanza perché anche lui è nel Tutto. Dare un nome alle cose significa prendersi cura di tutto quello che vedi, dare un nome stabilisce un legame, una responsabilità umana. Non dare un nome, lo ha insegnato Auschwitz, significa annientare la vita. Ad Auschwitz i prigionieri non erano umani, non avevano nome, solo un numero, erano considerati ‘pezzi’, un pezzo non ha identità, non ha valore, posso farne ciò che voglio. Questo è l’umano se non dà nome alle cose. Nel nome nasce la relazione, la relazione è il divino che si manifesta. Quando arriva un cane in casa gli si dà un nome: perché? Al cane non serve, vive di odori e di istinto, serve a noi, per capire che quell’essere diventa una nostra responsabilità, altrimenti è un ‘pezzo’.
Se per Dio il nome è superfluo, perché conosce il Tutto, non lo è per noi. Noi viviamo nella relazione, la relazione produce parole, le parole hanno significato e danno dignità a Tutto, altrimenti per noi incomprensibile. Questo è l’inganno: dare un nome a tutto, anche se è Tutto.
Ma all’umano dare un nome a tutto serve; riconoscere l’altro, serve. A che cosa serve? Lo insegnano i grandi maestri: a dominare le emozioni. Le parole poggiano sulle emozioni, ma le emozioni vanno gestite, perché da come le usiamo possiamo portare il Bene o il Male.

3) Le emozioni e il mondo
Come gestisco le emozioni? Affidandomi alle virtù. Gesù a chi lo rimprovera di mangiare cose impure rispondeva: «Non è quel che entra nella bocca che contamina l’uomo; ma quel che esce dalla bocca, ecco quel che contamina l’uomo.» (Mt 7,15).
Come possiamo fare a non contaminare il mondo con quello che diciamo? Gestendo le emozioni.
Vi sarà capitato di imbattervi in qualcuno che vi diceva: «Prima di parlare, conta fino a dieci.»
Qual è il senso? Il senso è che le nostre parole possono portare il bene o il male. Se abbiamo coltivato nel nostro intimo ‘shanti’ e ‘ahimsa’ (sono generate dalle virtù) allora contamineremo il mondo con il Bene, se coltiviamo la rabbia o il disprezzo (due emozioni), seminiamo il Male. Le liti sono solo questo. Le guerre sono qualcosa in più, sono paura, rabbia e disprezzo, associate a non riconoscere il nome del nemico (in genere viene liquidato e screditato con epiteti: cani, merde…). Capite che è doveroso dare e ri-conoscere (conoscere ogni volta in forma nuova) il nome degli altri? Il dare nome alle cose è un inganno che ci salva.

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