Siediti qui e lasciami dire. Si è vero, ho il viso a lutto, ma il tuo non è migliore, almeno questo mi rassicura. Com’è strano, non è morto nessuno, non ancora, e noi da troppo tempo giriamo per il mondo con la cupezza negli occhi e nel cuore.
Sono avventata se dico che è una fortuna? Sto soffrendo e stai soffrendo, il tradimento che stai consumando è verso di lei, non verso di me. Con lei fingi di stare bene, di essere vivo, però poi, appena sei solo, eccoti qui, rannicchiato nel dubbio. Questo volto tirato a lutto è la tua verità.
No, non voglio litigare. A che cosa potrebbe servire? Mi renderebbe libera, felice? Non ho più ricordi felici da molti anni.
Ci siamo lasciati sepellire lentamente dai silenzi, non volevamo dimostrarci invadenti, non volevamo disturbare la quiete dell’altro, ci siamo affidati al tempo, quasi fosse un taumaturgo, confidavamo che avesse la ricetta perfetta per ogni guarigione. Ma il tempo è solo indifferente, non gli importa dei cumuli di polvere o dei preparativi della festa, delle belle giornate di sole o delle malinconiche sere di pioggia, il tempo è presente ma non partecipa, non è passionale, non parteggia, semplicemente c’è, assiste e se ne frega, apatico. Che inganno è stato! Il tempo non fa niente, non ricuce dissidi, non allunga le distanze, è solo il palco della nostra esistenza, non ha battute, non ha mimica, e ci illudiamo che il tempo risolva.
Che stupidi siamo! Le soluzioni dobbiamo trovarle noi, sempre. E io voglio trovarla ora, qui, mentre osserviamo le nostre facce a lutto.
Sono sfinita, ma non rassegnata. Dentro di me continuo a grattare le unghie sull’ardesia, un suono fastidioso, irritante, per farmi sobbalzare, ma non succede niente, la maschera di serietà che indosso non si sposta, non si abbassa, mi copre con certosina perfezione ogni emozione. E so che pure tu, non lo negare, con quella seriosa spocchia di uomo responsabile, dimostri ciò che non vivi.
Non lo so se sei stato più bravo di me o più sciocco. Hai girato lo sguardo sul visino di una giovinetta. Sei benestante, è questo che ti ha reso tutto più facile, non certo il corpo allenato, il cibo misurato, ne troverebbe tanti di più giovani con le stesse qualità. No, te lo giuro, non voglio litigare o ridere di te, è solo una constatazione e, se ti conosco, l’hai pensato pure tu, ma alla fine hai valutato che ti conveniva approfondire la relazione: per che cosa? Forse per misurare la mia gelosia o, peggio, per illuderti di un’effimera felicità? Lo sai che non durerà, e la mia gelosia… sì, mi ha logorato, ma ho sempre tenuto la maschera e non te ne sei accorto. Non se ne è accorto nessuno.
Non sei stato più bravo di me, ora lo so, sei stato più sciocco. Guardati, non ti sei migliorato la vita, ti senti incatenato, magari mi stai dando la colpa di quelle catene, però lo sai che non è così, le catene te le avvighia e te le stringe la tua fuga. Inciamperai in continuazione. Guardiamoci in faccia, questa faccia da lutto non ci appartiene, come vorrei togliertela, tu la vuoi togliere a me?
Il mio nome, se lo pronunci a occhi chiusi, ti dona ancora delle emozioni? Il tuo lo fa sempre, mi rende roca la voce, mi commuove e maledico quel non so che cosa che ci ha reso così freddi, cantanti dalle voci cupe, forse stonate, insensibili al tatto, impotenti ad alzare lo sguardo e scoprirci negli occhi dell’altro. Lo so che non sono emozioni esclusive, un altro potrebbe offrirmele, magari con l’enfasi del principe azzurro che sognavo da giovane. Non ho bisogno di emozioni, di palpiti del cuore e mani sudate al nominare un nome nuovo, mi servono le emozioni che sapevavamo condividere, mi mancano, non perché erano strepitose, inarrivabili, ma perché erano nostre, le scoprivamo assieme, le costruivamo assieme, con gioia e impaccio. Non è una questione di età, è questione di pathos, potremmo riviverne di nuove e toglierci queste facce da lutto. Perché, se non l’hai ancora capito, siamo al capezzale del reciproco funerale.
Non voglio lasciarti andare, ti ho voluto, cercato, affiancato per il senso che volevo dare alla mia vita: faticare assieme, gioire assieme, sperare assieme.
Mi sei entrato nell’anima, ha preso la tua forma, si è arricchita con te, riesco a rendere migliore il mondo grazie alla nostra forza. Lasciarti morire non le cambierà forma, resterai nei miei modi, nelle mie espressioni… e mi mancherai.
Quindi è davanti a questo silenzio che stasera te lo chiedo: che cosa vuoi fare di me? Io ho già deciso, vedi? Ho le braccia spalancate! Vuoi che ascoltiamo i battiti dei nostri cuori?