Maquel aveva saputo dal racconto degli anziani dell’esistenza della Grande Pietra, la creatrice di tutto il visibile, l’essere immutabile e immobile che controlla ogni respiro, ogni movimento, ogni pensiero.
I vecchi raccontavano di lei con venerazione e timore. Nessuno l’aveva vista, chi aveva intrapreso il cammino per scovarla non aveva fatto ritorno, probabilmente divorato da qualche animale della notte.
Omaggiavano la Grande Pietra con canti e danze, ne chiedevano benevolenza, intercedevano per sperare nella buona caccia o nella buona raccolta. Il cibo andava trovato perché nessuno doveva essere superbo e credere che la Grande Pietra fosse serva degli umani, ma ciò che veniva trovato era un Suo dono, segno del Suo amore.
Maquel chiedeva come fosse possibile credere a qualcosa che nessuno aveva visto, come potevano credere che qualcosa che si trovava al di là di ogni vista procurasse agli umani il sostentamento. Rideva di queste superstizioni, lui era l’artefice della fortuna della sua caccia.
I giovani anni gli davano velocità, forza e curiosità. Era un abile cacciatore Maquel, orgoglio del padre e della madre, aveva un difetto, non sapeva tenere a freno la lingua, gli piaceva sfidare la saggezza dei vecchi; quando alla sera attorno al fuoco raccontavano della Grande Pietra, lui rideva, faceva dei versacci e il padre doveva risolvere la cosa velocemente a sganascioni.
Non credeva a quelle fandonie, eppure era il suo argomento preferito. Si dava dello stupido, non capiva perché amava parlare di ciò che non esisteva. Si sforzava con esempi e similitudini a spiegare alla madre, ai coetanei, al padre perché la Grande Pietra non poteva esistere. Era svelto nei ragionamenti, riusciva a mettere a dura prova anche la saggezza di Sarekim, l’anziana che aveva tracciato in volto la Storia della tribù e di tutte le piante e gli animali che vivevano in quella vallata bagnata dal Buon Fiume. La vecchia Sarekim ormai non osservava più il mondo con gli occhi, erano diventati inutili, ora sapeva guardare col cuore e nei cuori. Dentro a quello di Maquel ci vedeva un magma incandescente, una forza che andava guidata verso il bene. Quando nelle dispute Maquel aveva la sensazione di uscire vincitore, Sarekim serafica lo ammoniva di non lasciarsi trasportare dal ragionamento sterile, fine a se stesso, doveva restare sempre attaccato non a quello che vedeva ma a quello che sentiva. Doveva sentire. Sentire. Sentire più di vedere. Lei non vedeva più eppure non per questo si permetteva di dirgli che non esisteva, lo sentiva e non con le orecchie, lo sentiva con il cuore. «Educa il tuo cuore!», concludeva la saggia.
Ma Maquel non apprendeva la lezione, allora, quando il cuore magmatico del ragazzo da un rosso acceso stava mutando in una tonalità marrone, Sarekim capì che era il momento di metterlo alla prova.
«Se la Grande Pietra non esiste come credi di poter sopravvivere, come credi che possa esistere tutto quello che vedi intorno?», chiese la vecchia.
«Non lo so come tutto esista, gli avi non ce l’hanno tramandato, hanno preferito spiegarlo con la storiella della Grande Pietra, perché lo ignoro. Ma so che è solo grazie alla mia forza, alla mia abilità con il pugnale e le frecce se riesco a portare a tutti del cibo. È grazie alla mia osservazione se trovo le radici commestibili. È la mia abilità a intrappolare una preda. Io e solo io sono il mio destino, io sono la vostra Grande Pietra».
«Allora giovane Maquel, ti propongo il modo per porre fine a ogni disputa. Ti rivelo la via che porta alla Grande Pietra: ti va?»
Maquel rimase a bocca aperta, incredulo a quello che aveva appena ascoltato, poi timidamente chiese: «Tu sai dove si trova la Grande Pietra?»
«Sento curiosità, allora non sei così sicuro che non esista!»
Maquel provò imbarazzo e vergogna, la risatina di Sarekim gli fece capire che lei lo percepiva.
«Te lo dico, in cambio di una risposta».
«Quale risposta?»
«Te la darà la Grande Pietra e tornerai a riferirmela».
«Va bene, qual è la domanda?», rispose emozionato Maquel.
«La domanda la Grande Pietra la conosce. Però tu dovrai incamminarti senza vesti e senza armi. Con la tua giovane età basteranno due lune di cammino. Te la senti?»
Due lune? Nudo? Senza armi? Significava morire, eppure quella sfida lo affascinava.
«Sì. In che direzione?»
«Verso la Casa del Vento Freddo. Di notte avrai la sua stella per guida. La conosci, vero?»
«Certo. Quando parto?».
«Ora».
«Ora?»
«Lascia qui le tue armi, le pelli e incamminati. Se è vero che, come hai detto, da solo sai cercarti cibo e sei scaltro nel vivere ce la farai, di che hai timore?»
«Io?», tremava un po’ la voce, «di niente!», ciò detto si tolse le pelli e il pugnale e si incamminò verso la Casa del Vento Freddo.
Glielo avevano insegnato, non si entra nella foresta senza il pugnale, invece si stava incamminando nudo. Con il tuo giovane passo ci impiegherai due lune, gli aveva detto, ma sentiva il passo pesante, aveva il passo guardingo della paura. Non aveva avvisato i suoi, sapeva che lo avrebbe fatto Sarekim, se non fosse partito subito tutti glielo avrebbero proibito. Sapeva che la saggia vecchia avrebbe parlato di notte davanti al fuoco, mentre tutti erano in allarme per la sua assenza; avrebbe spiegato e consolato le angosce, Maquel stava viaggiando sotto la protezione della Grande Pietra.
Si nutrì a un cespuglio di bacche. Mangiava e osservava tutto intorno sospettoso.
Ormai era ben dentro la foresta, trovò un po’ di coraggio e il passo si fece più sicuro, tra gli enormi alberi e il sole che filtrava incerto tra le chiome. Aveva fame, trovò delle tarantole di tanto in tanto e divennero il suo pasto.
Camminava tra le grida degli animali della foresta, osservava il muschio degli alberi che indicavano la via per la Casa del Vento Freddo e andava avanti.
Quando i raggi del sole si erano indeboliti e le tenebre stavano prendendo il sopravvento, osservò gli alberi intorno e si arrampicò su un tronco che cadendo era andato a poggiare su un albero possente, gli permise di raggiungere un ramo di questi, salì fino a raggiungere un’altezza sicura e si distese su un ramo che poteva contenerlo. Era scomodo e aveva freddo. Fu una notte di pisolini, anche nel sonno i sensi erano vigili e alla minima percezione di pericolo si svegliava.
All’alba si rimise in cammino, aveva freddo. Due lune in quelle condizioni erano improponibili, doveva procurarsi delle pelli e un’arma. Al momento non trovò niente di meglio di un pezzo di ramo, lo batté contro il fusto di un albero per saggiarne la robustezza, era ottimo, ora aveva un bastone.
Trovò altre piante commestibili, ma la sete era impellente, tuttavia non fermò il passo, continuava, doveva uscire dalla foresta.
Si imbatté in un corso d’acqua piccolo, cristallino, bevve finalmente.
Decise di restargli vicino senza perdere la rotta verso la Casa del Vento Freddo. Lo sapeva che era più rischioso, vicino ai corsi d’acqua ci sono più animali, ma ora aveva un bastone e l’intelligenza. Sarebbe riuscito a sopravvivere.
Passarono tre giorni e tre notti. La sofferenza maggiore era per il freddo. Quando ci riusciva costruiva tra i rami un giaciglio con delle foglie enormi che trovava intorno e si copriva con le stesse, meglio di niente.
L’aria umida e afosa del giorno gli rendeva difficile il cammino, gli sembrava di non sentirsi al meglio, forse era dovuto alla scarsa alimentazione o per aver ingerito una pianta sbagliata, ma si sentiva febbricitante.
Un tardo pomeriggio si sentiva privo di forze, non ce la faceva ad arrampicarsi per trovare rifugio per la notte. Capiva la gravità, così era vulnerabile.
Cercò un giaciglio dentro un roveto, riuscì a farsi spazio alla meno peggio, rivestì lo spazio preparato con delle foglie giganti e si infilò dentro. Tremava e scottava, un qualsiasi carnivoro poteva vincerlo, solo le spine del roveto potevano salvarlo, lo aveva punto in zone diverse, ma il sangue coagulò presto. Era pericoloso essere feriti, l’odore avrebbe attirato degli animali affamati.
Si svegliò con il sole ben alto. Aveva perso del tempo prezioso.
Si rimise in piedi, era intontito dalla febbre, non poteva starsene fermo, doveva proseguire. Dondolava, inciampava, non riusciva a mettere a fuoco, ma non poteva fermarsi. Andò presso il corso d’acqua a bere. Vide dei pesci, col bastone tentò di colpirli, senza fortuna. Lo capiva che era troppo lento. Tornò a camminare, mangiava qualche foglia qua e là, era debole, troppo debole. Dopo pochi giorni il suo viaggio poteva dirsi concluso.
Cominciò a dubitare delle sue capacità, non era così forte, capace. Lo era se tutto andava bene, ma appena la salute lo aveva minato aveva compreso tutta la sua vulnerabilità. Cominciò a salirgli l’angoscia e si mise a chiedere aiuto, lo gridò, non sapeva a chi, chi mai poteva aiutarlo in quella fitta vegetazione? Eppure sperava in qualcuno, non poteva finire così.
Piangeva, malediceva Sarekim per averlo spinto a quell’impresa. Gli mancava il villaggio, la sua tribù, i genitori. Li vedeva tutti nitidamente davanti a sé, vedeva la foresta, vedeva il corso d’acqua poco lontano, poi fu il buio. Quando riaprì gli occhi vide un procione intento a sgranocchiare la corteccia di un albero, non sapeva perché, ma intuì che doveva imitarlo. Il procione come lo vide arrivare barcollante, provò ad assumere un tono aggressivo, ma evidentemente era debole pure lui e non andò oltre. Maquel staccò un pezzo di corteccia e cominciò a sminuzzarla in bocca, la masticava a lungo, sentiva la bocca piena di saliva e deglutiva. Si appoggiò al fusto e poco dopo si addormentò.
Non si mosse da quell’albero per sei notti. Un poco alla volta le forze ritornarono e il settimo giorno, seppure debole, si sentiva abbastanza lucido per riprendere il viaggio.
Camminò nutrendosi di bacche, radici, piccoli roditori che riusciva a colpire col bastone, insetti. Passò la prima luna.
Gli serviva coprirsi, più avanzava e più il freddo si adagiava sulla sua pelle. Era a metà tra la prima e la seconda luna quando il freddo si fece insopportabile.
Anche l’acqua che beveva era particolarmente ghiacciata. Tremava. Temeva che la febbre ritornasse.
La morfologia del territorio stava cambiando, da qualche tempo stava percorrendo delle dolci salite e altrettante discese, all’orizzonte erano spuntate delle maestose montagne e dove ci sono montagne c’è il freddo, pensava Maquel.
All’approssimarsi della seconda luna il sentiero aveva cominciato a inerpicarsi, diventava faticoso e il freddo gli comprimeva il corpo.
Più si spostava a nord e più tremava.
Non ne poteva più, quella notte cercò rifugio dentro una grotta. Vedeva la luna quasi fatta e uno spruzzo di stelle in cielo. Per la seconda volta si sentiva vicino alla fine. Chiese aiuto ad alta voce, come aveva fatto durante la febbre, si era messo seduto sui talloni, le braccia aperte verso la luna, implorava un aiuto. A chi non lo sapeva, ma aveva bisogno di rivolgersi a qualcosa o qualcuno più grande di lui. Non aveva più forze e cadde in un sonno profondo.
Era nel dormiveglia del primo mattino e un piacevole torpore percorreva tutto il corpo, a mano a mano che diventava cosciente, sentiva un odore di selvatico, quando aprì gli occhi fu assalito dal terrore: un’enorme testa d’orso gli si parava davanti.
Provò ad allontanarsi, ma qualcosa gli bloccava la schiena: il corpo di un altro orso.
Era tra i due plantigradi.
Sentendolo muovere i due animali si alzarono, lui pensò bene di restare immobile.
Si mise a studiare la grotta per trovare una via di fuga, ma non ne trovava alcuna. Dentro di sé invocò un aiuto, qualcuno lo doveva aiutare, non poteva finire così, pasto per orsi.
Uno dei due orsi lasciò la grotta, l’altro rimase di guardia, o così credeva Maquel.
Di ritorno l’orso aveva qualcosa in bocca, si avvicinò a Maquel e lasciò cadere due mele. Capì che gli animali non avevano cattive intenzioni, si mise seduto, pulì le mele con la mano e le mangiò.
Quindi i due animali si misero all’uscita della grotta e guardando Maquel e poi guardando fuori, bruivano. Non ci mise molto a capire che lo invitavano a mettersi in cammino. Titubante si avvicinò a loro, teneva ben stretto il suo bastone che gli era rimasto vicino al corpo, lo teneva alzato per difesa, anche se sapeva che per loro un colpo di bastone sarebbe stato come uno schiaffo per lui, innocuo. I due orsi, non lo attaccarono, anzi, si misero uno davanti e uno dietro e si incamminarono. Sembrava che sapessero dov’era diretto e lo stavano scortando.
Nel viaggio si fermavano per mangiare frutta o miele, sapevano dove andare a dissetarsi e sfamarsi, poi via tra gli abeti, i cespugli, le salite rocciose, le tane per la notte.
Passò anche la seconda luna.
Al quindo giorno dopo la seconda luna gli orsi lo avevano portato fuori dalla foresta, in prossimità di una vallata. L’aria pizzicava, i due orsi si girarono per fare ritorno, Maquel, li seguì, si fermarono subito. Uno dei due bruì e col muso fece segno verso l’alto (o verso lontano?). Maquel non capì e si avvicinò ai due, allora l’altro si alzò sulle gambe posteriori e rugliò feroce.
Maquel fece due passi indietro terrorizzato e cadde. Anche l’altro orso si alzò sulle gambe posteriori e rugliò minaccioso. Maquel se la diede a gambe levate e i due orsi tornarono calmi dentro la foresta.
Il sentiero era leggermente in discesa e girava intorno alla montagna. Quando si trovò dall’altro lato del monte, si apriva in una vallata e al centro c’era lei, non c’era dubbio: la Grande Pietra!
Era maestosa, ricordava una mandorla, era di un grigio scuro ed era trasparente.
Sembrava massiccia e leggera. Superato lo stupore si mise di buona lena per raggiungerla.
Arrivato ai suoi piedi, non vedeva la sommità. La toccò. Era una normalissima pietra, eppure riusciva a intravedere il paesaggio retrostante. Camminò da destra a sinistra e da sinistra a destra. Accostò l’orecchio al masso, non proveniva nessun suono. Provò a salutarla, ma non rispose. Notò che non lasciava ombre.
Allora ritornò l’irriverenza dei suoi anni, si avvicinò e ci fece la pipì contro. Nessuna reazione. Come doveva essere.
«Sei solo una stupidissima pietra, diversa dalle altre, ma solo una stupida pietra!»
«Ne sei certo?»
Si girò, non lo aveva notato, ma c’era un vecchio nudo seduto con le gambe incrociate che lo osservava.
«Sicuro. E questa dovrebbe ascoltare le preghiere? dovrebbe aiutarci? Dovrebbe…»
«Lei ti lascia libero, questo fa, questo è il suo grande potere. Tu sei in grado di lasciar libere le persone?», disse l’uomo alzandosi e avvicinandosi.
«Certo», rispose Maquel.
Allora l’uomo che era a un passo da lui, gli urinò addosso. Maquel si spostò e lo minacciò col bastone.
«Ehi! Che cosa fai?»
«Colpiscimi pure, ma questo dimostra che non sai lasciar libere le persone».
«Ma mi hai pisciato addosso!»
«Come tu l’hai fatto alla Grande Pietra, ma lei, a differenza di te, non ha reagito, non chiede niente, la Grande Pietra dà».
«E che cosa dà? non lo vedi che è solo un masso?»
«Hai ragione questo è quello che si vede, ma che cosa senti?»
Maquel rimase interdetto. Che cosa sentiva? In effetti qualcosa sentiva, non sapeva perché ma provava gratitudine.
«Esatto», disse l’uomo che sembrava gli avesse letto i pensieri, «le devi essere grato; quando hai chiesto aiuto lei c’era, è lei che ti ha spinto a mangiare la corteccia per guarire dalla febbre; ed è stata sempre lei a mandarti dagli orsi per proteggerti dal freddo».
«Ma tu… come fai a sapere queste cose?»
«Sento il tuo cuore, io non ti guardo, proprio come Sarekim!»
«Conosci Sarekim?», l’uomo sorrise, poi Maquel si ricordò le parole della saggia «Sarekim… mi ha detto che dovevo avere una risposta… ma non so la domanda».
«Giovane Maquel, tu sei la risposta. Ora sai che la Grande Pietra non reagisce agli oltraggi, alle offese, la Grande Pietra dà. Impara a sentire più che a vedere, la risposta verrà».
«La risposta… a che cosa?»
L’uomo sorrise ancora una volta, gli indicò su un piccolo masso le pelli che si era tolto prima del viaggio e il suo pugnale.
«Riprenditi le tue cose, hai il viaggio di ritorno per meditare».
Maquel era confuso, come potevano essere lì le sue cose? E chi era quel tale?
«Tu chi sei?»
«Uno che quando aveva i tuoi pochi anni non credeva alla Grande Pietra perché non l’aveva mai vista, eppure bastava sentirla, ora vai».
Maquel si rivestì, s’impossessò del suo pugnale e senza girarsi riprese la via del ritorno.
Era sconvolto, felicemente sconvolto. Si sentiva diverso, cambiato, una cosa strana si muoveva dentro il cuore, sentiva qualcosa.