La partitella

Il sole primaverile era tornato a riscaldare questo tratto di pianeta, donando a tutti un senso di rinascita, un vigore, una voglia di fare, un desiderio di esplodere, di ripartire. Il risveglio dei colori spingeva ognuno a riprendere la corsa. Il tempo della quiete oziosa, necessaria per corteggiare la creatività, sviluppare progetti irrealizzabili, propositi di rincorrere mete irraggiungibili stava alle spalle. Ora era il tempo di intraprendere un nuovo cammino, diverso e uguale a quelli percorsi nella vita trascorsa, nuova fiducia, nuova allegria, nuova inebriante fatica.
I parchi si riempivano di gente desiderosa di muoversi, di correre, di bambini chiassosi, di mamme sulle panchine che si raccontavano la quotidianità con l’occhio attento ai giochi dei figli.
Anche lui stava vivendo quella condivisione. Ognuno, seppur impegnato nel seguire la propria esistenza, stava inconsciamente dentro il flusso di emozioni e sentimenti comuni.
C’erano dei ragazzini, divisi in due squadre con un pallone tra loro che cercavano di rubare agli avversari e correre verso la porta di costoro per far passare la palla dentro il confine delimitato dai giubbotti posati ai limiti, ben difesi, si sperava, da un provvido portiere che, per entrambe le squadre era il più robusto tra loro.
Era un segno di discriminazione? Per lui che li osservava no. Era un modo per coinvolgere, perché nessuno si sentisse inutile. Sei pesante, non ce la fai a correre come gli altri? Allora ti diamo il compito più importante, sarai l’estremo baluardo. Se noi non riusciamo a fermare gli avversari, tu sei la nostra ultima speranza. Era questo il pensiero che permetteva ai più cicciottelli o agli imbranati di diventare utili, assumere il compito più importante: non far violare la porta. Questo significava coinvolgimento, collettività, unione, partecipazione, inclusione. Secondo lui quei bambini che rincorrevano come un favo di api la palla là dove andava, senza uno schema, senza un disegno, senza un coordinamento, stavano imbastendo un grande insegnamento di antropologia, di sociologia, di spiritualità: nessuno è escluso, tutti siamo importanti, utili, vivi. La tecnica, il metodo sono strati che si aggiungono per ottenere i risultati, la vittoria. Quei bambini avevano solo un obiettivo: divertirsi. E lo stavano pienamente ottenendo, tra le gambette che correvano ipnotiche dove la palla andava, tra urla concitate.

Uno tirò un calcio sghembo alla palla che andò verso la direzione dove si trovava lui, ai bordi di quel campo dove non vedeva la linea che lo demarcava, ma che i bambini vedevano chiaramente.
Malgrado i suoi sessant’anni, come la palla gli rimbalzò vicino la placcò di petto, la lasciò scivolare sul corpo e cadere sul piede sinistro che con un leggero tocco la fece rimbalzare vicino a lui, la raccolse col destro, la tenne un istante sul collo del piede, poi la lanciò alta, la colpì di testa, piccoli balzi che si ripetevano colpiti dalla fronte, poi la lasciò cadere e la fermò posandoci sopra il piede sinistro.
Un bambino, quello che doveva incaricarsi della rimessa laterale, intimidito, gli chiese: «Signore, può ridarci la palla?»
Lui sorrise e gliela passò toccandola piano, facendole fare una parabola che arrivò tra le mani del bambino.
Questi, avutala, si girò e la rilanciò verso i compagni e corse per confondersi nella mischia.

Un nonno di uno di quei bambini gli disse indicando quello che aveva effettuato la rimessa: «Se solo sapesse chi gli ha passato la palla!»
«Manco da secoli nelle figurine Panini!», rispose lui.
«Ma non nei nostri ricordi: due scudetti, una coppa dei Campioni, un secondo posto ai mondiali, con quello strepitoso gol… emozioni impagabili!»
«Quelle sono le nostre emozioni: mie e sue. Loro», e indicava i bambini, «hanno le loro da vivere. E dalle urla e dalla grinta che sentiamo, non sono certo seconde alle nostre.»
«Ma come può dire questo? La sua vita, la sua carriera, non è una cosa che passa!»
«È già passata!» rispose sorridendo, «Ormai siamo allo scadere del tempo, ma non significa che non abbiamo più niente da dire. Quante partite ho vinto all’ultimo minuto! E quante ne ho perse all’ultimo minuto! Dobbiamo giocare, fino alla fine, con lo stesso entusiasmo di questi bambini. Le sorprese non sono finite, molto ci attende. Dobbiamo dare il massimo, incuranti se il fischio dell’arbitro sarà imminente. Noi alla fine dobbiamo uscire dal campo con la gioia di aver dato tutto. Io nello spogliatoio non mi sono mai portato un briciolo di energia o di non provato, non mi sono mai risparmiato. Questo significa vivere una vita piena, ben spesa…»
«Eterna!», chiosò il nonno.
«Esatto, eterna!»
«Però non è giusto, lei… lei… quei bambini… hanno da imparare da lei… non possono trascurare chi è lei!»
Lui spalancò le braccia: «Sic transit gloria mundi!»

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