Metamorfosi

Cadeva la neve. Lei era al riparo nel tepore della baita, fuori regnava l’oscurità, in lontananza si vedevano le luci del paese, sembravano il controcanto al fuoco scoppiettante del camino.
Era ferma davanti all’ampia finestra che dava sulla valle, in mano una tazza bollente di una tisana rilassante. Il legno delle pareti le riempivano lo spirito di calore. Era sola, ma si sentiva comunque in mezzo al mondo, non a quello caotico delle metropoli che le avevano sempre causato disagio, si sentiva in mezzo al mondo interiore, dove in una minuscola punta di spillo si concentravano miliardi di esseri, miliardi di spiriti, miliardi di storie; questo si sentiva, una punta di spillo, concentrazione dell’intero universo. Un tamburo e una voce le massaggiavano il corpo e l’anima, un linguaggio incomprensibile, un linguaggio umano che le stava sussurrando verità non tanto con le parole, quanto con la timbrica, con la modularità, con l’armonia. Dove la stava portando quella voce? Non lo sapeva ma si accorgeva di essere diventata una vela, il buio del cielo era un mare e le stelle erano delfini che solcavano l’onda per sparire nel profondo e riemergere più in là. Lei era la vela di un veliero che non sapeva definire, un veliero speciale che solcava le onde magnetiche dell’Universo, si intrufolava dentro le leggi cosmiche che riflettevano perfettamente quelle che regolavano la sua struttura atomica, si sentiva una punta di spillo e si
sentiva il tutto, sentiva che il suo corpo era la riproduzione dell’universo, era il pensiero primo di Dio, la storia della Creazione tramandata in mille dialetti e altrettanti fedi, le narrazioni dell’immagine di Dio si stavano riproponendo in quella stanza appoggiata alla montagna nella loro purezza, raccontavano tutta la loro originale sincerità. La stavano purificando con maggior forza del piacere che stava ricevendo dalla calda tisana che sentiva irradiarsi dentro di lei. Eco di terre lontane cantate da una voce femminile soave, perfetta riproduzione del primo suono, la stavano invitando a un girotondo, a lasciarsi andare per abbandonarsi al nulla che ingloba il tutto o al tutto che ingloba il nulla, non se lo sapeva spiegare, non era il momento della ragione, voleva scivolare nella dimensione che aveva del terrestre -senza sentirsene ancorata-, e aveva del celestiale -ma lo percepiva ancora lontano-; era un veliero in viaggio, un viaggio dentro se stessa; dove l’avrebbe condotta non lo sapeva, non aveva meta, il viaggio era la meta, si abbandonava al momento. Depose la tazza e mentre la voce le evocava miti indiani sconosciuti e comunque ben presenti nel suo animo, assecondò il corpo in una danza ancestrale, doveva muovere con armonia il bacino e le spalle, doveva liberare le braccia, ondeggiarle con eleganza, doveva toccarsi i polpastrelli delle mani, sentiva di dover piegare le gambe e posare con grazia i piedi in avanti o indietro, salire e scendere come un’onda, doveva chiudere gli occhi e abbandonarsi a quei gesti arcaici.
Non si sentiva sola, le pareva d’essere nuda con altre donne che danzavano a un dio a lei sconosciuto, non sapeva sottrarvisi e non lo voleva, si sentiva nella pienezza, si sentiva nella purezza, si sentiva espressione del tutto, si sentiva donna, falco, cane, squalo, lupo, gatto, edera, platano, giunco, nuvola, pioggia, sole, stelle. Che cosa stava diventando? Non le importava, sentiva il suo lato divino nascere, lo sentiva muoversi nel bozzolo del suo corpo, sempre più inquieto, attorcigliarsi per rompere l’involucro che l’aveva contenuta per tanti anni e uscire con fatica e volontà: sentiva che stava diventando farfalla. Qualcosa stava cambiando, qualcosa di vecchio stava morendo, il tempo andato non sarebbe mai stato rimpianto, anzi avrebbe ringraziato ogni momento, anche le prove più dolorose, perché sentiva che senza quel dolore, la felicità della liberazione, della rivelazione e della verità non sarebbe stata possibile.
Stava entrando a piedi pari in un nuovo territorio, nella valle dove l’odio non è di casa, non è contemplato, stava entrando nel regno dell’amore, dove le paure erano sconosciute, dove il pregiudizio e il giudizio sono voci assenti nel vocabolario, dove la felicità del prossimo è la massima espressione di felicità. Non era nel regno dei morti, lo aveva appena abbandonato, era entrata nel regno dei vivi.

Racconto nato ascoltando la voce di Thea Crudi. Grazie Thea. Letto in una mattinata yoga del 2015.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare.