A fine pranzo Martina si è offerta di lavare i piatti, Silvio ha opposto resistenza, siamo suoi ospiti che non sia mai, ma lei ha insistito, ha raccolto i piatti e le posate dalla tavola ed è andata verso l’acquaio. Ci ha invitato a uscire a goderci il sole. Lo so che cosa aveva in mente, il suo occhio di donna aveva già passato in rassegna la casa, quella cucina, a me sembrava in ordine, ma non agli occhi suoi. Silvio è uno scapolo, si arrangia in tutto, è attento, pulito, però l’assenza di una mano femminile in casa una donna la nota e Martina aveva visto molte cose che non andavano. E allora eccola lì, a chiedere dove tiene il detersivo, la scopa e con gesto eloquente delle mani ci manda via.
Silvio vive in un palazzone per villeggianti estivi, ha un piccolissimo appartamento a piano terra, il suo campanello è quello con scritto “custode”, lo è da più di vent’anni.
Andiamo a camminare in riva al mare. Parliamo del più e del meno, aprile ci ha concesso una calda domenica delle Palme. Tra poco la spiaggia rivedrà umani nudi esposti al sole, sentirà urla di bambini, incitamenti di animatori, spierà anime solitarie che cercano compagnia. Silvio è stato uno di queste e non poteva sperare in un mestiere migliore per trovarsi l’opportunità di allacciare avventure effimere. Non che fosse mai stato un donnaiolo, anzi la sua indole è proprio all’opposto, ma gli eventi lo hanno portato a fare il gallo da spiaggia, restando però nell’infelicità. Martina non accettava quella tristezza, aveva provato a fargli conoscere delle amiche o delle colleghe di lavoro, senza successo. Silvio un giorno glielo disse, con cortesia, ma determinato, non gli interessava conoscere nessuna, non voleva iniziare alcuna relazione, gli andava bene vivere come stava vivendo.
«Solo?», chiese indispettita.
«Solo», rispose.
«In quel palazzone vuoto nove mesi all’anno?», continuò lei.
«In quel palazzone vuoto nove mesi all’anno, sì.»
Se a trent’anni la solitudine veniva compensata da incontri fugaci, a quaranta cominciava a pesargli e ora, che sta vedendo l’orizzonte dei cinquanta, mi sembra stia incurvandosi nella rassegnata assenza di senso.
Abbiamo risposto subito all’invito a pranzo di qualche giorno prima: «Se vi va, poi la domenica dopo è Pasqua e la passerete con i parenti!», è un modo per non sentirsi solo, ci chiama prima delle feste comandate per provare un po’ di calore (guai a farglielo notare però, si arrabbia), lo invitiamo da noi sia a Natale che a Pasqua, ma rifiuta e non insistiamo. Abbiamo capito che certi argomenti è bene non affrontarli, portano a liti senza possibilità di comprendersi.
Per esempio non ho più affrontato l’argomento dalla litigata che ne scaturì molti anni fa, quando volevo scuoterlo dall’inebetito torpore sentimentale in cui si era chiuso dopo la fine della relazione con Elisabetta, il suo vero unico amore. Quanto era durata? Come piace dire a lui, mille giorni, rifacendosi a una nota canzone. Mille giorni devastanti, dove si era perso nel suo nome, nell’impronta dei suoi passi, nel vapore che le usciva dalla bocca in inverno, nel suo modo elegante di camminare, nelle sue pose naturali che sprigionavano un erotismo involontario, nella sua chiassosa risata dove liberava tutta la sua felicità e lui la catturava e se ne nutriva. Poi, come una pioggia improvvisa d’aprile che abbassa la temperatura e ti becca in mezzo a un campo e ti infradicia, lei è ammutolita, si è irrigidita e ha detto addio. Il motivo? Io non lo so e a quanto dice Silvio, non lo sa neppure lui. Martina non ci crede, ci dev’essere qualcosa che non vuole raccontare, afferma. Un motivo c’è, è ovvio, forse ce lo potrebbe dire Elisabetta, ma è sparita, non ho saputo più nulla di lei. A distanza di tanti anni, credo sia inutile indagare, però ogni volta che vengo da Silvio mi assale una malinconia. Noi due siamo amici da sempre, la sua vitalità mi contagiava, era facile alla battuta, lo è ancora, solo è velata, un dolce amaro che affiora nel sorriso di chi ascolta, vi si scorge un abisso di dolore che malamente Silvio cerca di nascondere. Intatta è la sua intelligenza nel vedere e capire il mondo, mi ha confidato che lo ha sviluppato subito dopo la fine del loro rapporto, quasi a rimediare a una lacuna, per provare a rileggere con il senno di poi i loro mille giorni e capire che cosa non ha funzionato. È un esercizio sterile, lo sa pure lui, anche perché non ne è venuto a capo.
«Ci si lascia per due motivi», mi disse una volta, «o per il sesso o per i soldi, non c’è altro.»
Gli chiesi quale dei due era responsabile del loro fallimento. Mi rispose che scopavano molto, erano in sintonia, si cercavano, quindi non era il sesso. Allora era per i soldi dissi, lui lavorava presso un bruciatorista, installava e riparava caldaie, una paga da operaio resa dignitosa dagli straordinari. Silvio mi fissò, ma non stava guardando me, inseguiva quei mille giorni, poi sconsolato rispose: «Non lo so!»
Non aveva e non ha risposte. Più volte è intervenuta Martina: «Se non ci sono risposte è come un’equazione matematica, stai dividendo per zero, operazione impossibile, chiudi il quaderno e vai avanti.»
Questo lo sa pure Silvio, eppure gli anni si sono sommati agli anni, e ci troviamo qui a camminare sulla battigia, a parlare dei miei figli, ormai ventenni, che stanno affrontando il mondo con gli stessi occhi curiosi e titubanti che avevamo noi.
Martina ci raggiunge sorridente, offre il viso al sole ed esclama: «Quanto mi piacerebbe avere una sdraio per una tintarella! Senti come scalda!»
«Se vuoi una sdraio te la procuro, è un attimo!»
«Ma va là! Non ho neppure il costume!»
«Ti puoi mettere lì», indica la terrazza al secondo piano, «Ti do una sdraio, ti metti nuda, non ti vede nessuno… e domani fai invidia alle amiche!»
Martina mi guarda con gli occhi di una bambina a cui hanno promesso di andare alle giostre, sorrido.
«Andata!», dice euforica.
Dopo un po’ lì vedo sul terrazzo, lui che armeggia con una sdraio, si dicono due parole, Silvio la lascia e lei inizia a togliersi i vestiti, poi sparisce dietro il parapetto.
Silvio torna da me: «Sei fortunato, hai una donna di cuore e discreta. Ha trovato un modo per lasciarci soli.»
Mi commuove il modo in cui lo dice, sta accarezzando un sogno felice che non ci sarà, un’amara constatazione, una resa. Devo dirlo, non posso tacere: «È una fortuna che potresti avere pure tu!»
«Alla mia età? Abbiamo quasi cinquant’anni Marcello, siamo a un passo dalla vecchiaia!»
«E con questo? Credi non ci siano donne della nostra età sole? Donne di cuore e discrete?»
«Ma che… mi fai la paternale?», chiede sorpreso.
Si gliela voglio fare e continuo con discorsi già fatti, ma ancora non assimilati, a quanto pare. «Elisabetta si trova in un tempo lontano, remoto ed è lontana pure nello spazio, chissà dove, forse sta prendendo il sole pure lei, a bordo di uno yacht o presso il giardino di casa, anche lei ha appena terminato di mangiare e rigovernare e si sta prendendo del tempo per sé stessa. Nel suo tempo tu non ci sei. Magari se la rivedi noti che ha quindici chili in più e delle rughe, non è più quella che ricordi. Ti stai attaccando a un ricordo, vuoi dar vita a ciò che non c’è. Vorresti la magia, ma la magia non esiste!»
Silvio si siede e incrocia le gambe, osserva il mare, lo imito, prendo un po’ di sabbia in mano e la lascio cadere come fosse una clessidra.
Silvio osserva il mare e mi dice: «Non voglio alcuna magia. In fin dei conti, mi son preso le mie belle soddisfazioni in fatto di donne. Ne ho avute tante, da giovane molte di più di ora, ma so ancora difendermi. È cambiato qualcosa rispetto alla giovinezza, un tempo non mi curavo di quella che corteggiavo, entrambi eravamo pieni di futuro e vivevamo l’esperienza come un divertimento, ero dentro la coreografia estiva, il mandrillo a disposizione della turista, senza coinvolgimenti emotivi, solo piacere. C’è quella del 204, è sposata a un avvocato, mi chiama dal lunedì al giovedì, è sola e chiede un “po’ di passione”, come dice lei. Da quindici anni dura questa passione, nel fine settimana torna lui e allora fa la brava moglie. Tutto il mese di luglio. Quella del 305 è moglie a un costruttore, ha asfaltato mezza regione, anche lei idem, nella terza decade di giugno. Ti confesso che mi sto stancando. Poi…»
Sembra che stia inghiottendo qualcosa di amaro, schiocca appena la lingua, quasi a mandar giù contro voglia, ma desidero che dica tutto, forse è il motivo dell’invito a pranzo.
«Poi?», chiedo per farlo continuare. Tentenna, respira profondamente e prosegue:
«Ho conosciuto anche delle coetanee… un paio di rumene, una moldava, ma più che sia italiane divorziate. Cercano un compagno, una stabilità, si portano una sofferenza e chiedono a me di aiutarle a superarla, con un legame duraturo, sincero, chiedono di costruire assieme il nostro diritto alla felicità. Confesso che sono quasi tutte di cuore e discrete. È vero, di bella gente è pieno il mondo.»
Osserva il mare. Sembra che il discorso sia concluso così, ma non mi sta bene, insisto:
«Dove sta il problema?»
Silvio si distende sulla sabbia.
«Il problema sono io. Non voglio essere causa di sofferenza», lo guardo perplesso, perché deve causare sofferenza? Lui continua: «Siamo fatti di tre cose: materia, mente e anima. La materia funziona, la mente pure è l’anima che… l’ho persa!»
«Non ti capisco!»
«Tu e Martina non vi sentite legati da qualcosa di profondo, che va oltre la mente e la carnalità?»
Sono confuso, dove vuole arrivare?
«Voglio dire, ci saranno momenti che ti fa incazzare, comportamenti che ti infastidiscono, eppure non c’è qualcosa che te li fa superare? Ti sei mai chiesto che cos’è?»
«Io lo chiamo amore.»
«E l’amore nasce quando le anime si allacciano, si stringono e crescono assieme.»
«E tu non vuoi questo?»
«Non posso averlo, l’anima non ce l’ho più. L’ho lasciata a Elisabetta…»
«Ma che cazzate dici?», non son riuscito a tacere.
«È così. Eravamo tutt’uno, anche a livello di anima. Poi lei se ne è andata senza lasciarmi il tempo di riprendermi la mia parte, nella fretta si è presa tutta l’anima del nostro amore, e non ho più provato la sensazione di sentirmi vivo oltre questo corpo.»
«Stronzate!», Silvio mi guarda perplesso, «Sì, stronzate! Enormi stronzate! L’anima è come i capelli, ricresce, credimi, ogni volta che fai un gesto amorevole, cresce. In ogni piccola attenzione cresce. “Elisabetta mi ha preso l’anima”. Elisabetta si fa la vita sua, scopa, gode, si guarda un film e va a nuotare! Sai qual è la verità? È che sei stato scottato da quell’esperienza e ora hai paura.»
Silvio fa no con la testa: «No, dove c’era l’anima ora c’è un vuoto!»
«No, tu hai paura. È solo semplice paura. Ma dico io, ti trovi con delle donne che ti aprono il loro cuore, cosa per niente scontata, ti chiedono di entrarvi e tu piagnucoli su una che se la sta spassando alla grande e non si ricorda manco il tuo nome! Sei un vile, ecco che cosa sei! Hai buttato venticinque anni della tua vita a nasconderti. Sei come quelli che delusi dall’amore si buttano nelle pratiche mistiche. Tutta gente che fugge!»
Silvio non reagisce, sembra privo di argomenti.
«Tu non capisci… o io non mi so spiegare…»
«Ti sei spiegato e io ho capito. E pure tu hai capito. Vivi e lascia da parte le paure.»
Sento chiamare, Martina dal secondo piano, con un braccio si nasconde i seni e ci urla di volere un gelato. Rispondo che va bene, possiamo andare a farci una passeggiata verso il centro, Martina urla festosa e alza le braccia al cielo, scoprendosi, Silvio ride.
«È l’allegria in persona! Sei fortunato!»
«Lo sarai pure tu!»