Ho trascorso due mesi a spiare la vita di una persona leggendole il diario. È un diario pubblicato da Adelphi, ma quando ho iniziato a leggere la prima pagina ho provato questa sensazione, stavo curiosando nella vita altrui, stavo commettendo un illecito.
Esther ha trasportato in alcuni quaderni tutta se stessa, ha raccontato ogni momento, ogni sensazione vissuti nell’arco di due anni.
Ho avuto strane reazioni leggendolo, nel momento in cui le vivevo le consideravo stupide, ma ho dovuto assecondarle, almeno per rispetto a Esther.
Per esempio leggere il libro disteso sul letto mi sembrava poco rispettoso e ripensandoci lo credo ancora, è un libro che va letto da seduti, con il libro appoggiato sulle gambe, tenuto da entrambe le mani, in una posizione quasi raccolta.
In più bisogna leggerlo isolati dal mondo. Se non potevo rimanere solo per allontanare i rumori della casa, il vociare dei bambini, il richiamo della madre, quella porca di televisione sempre accesa, mi mettevo gli auricolari e accendevo il lettore mp3. Musica strumentale: Karaindrou, Tiersen, Mertens, Cacciapaglia, colonne sonore di film. Musica che mi ha permesso di concentrarmi sul testo e non mi ha disturbato durante la lettura, più che un suono fungeva da isolante acustico.
L’isolamento lo sentivo necessario perché stavo entrando nell’intimità di Esther: gli amori, il sesso, la malattia, le passioni, la bellezza, Dio… un percorso durato due anni in cui Etty (la conosciamo tutti con questo diminutivo, e ora che so molto di lei mi permetto anch’io di chiamarla così), ha trasformato se stessa e ci invita a trasformarci.
Desiderava essere l’anello di congiunzione tra l’Europa e la Russia, desiderava mettere in contatto questi due mondi tanto lontani, insegnava russo in privato, lei era ebrea di madre russa e padre olandese. Anelava di diventare scrittrice.
Etty inizia a raccontarsi a ventisette anni, si racconta senza inibizioni, libera, sincera. All’inizio prevale la sua fatica di accettare la vita, sempre stanca, imbottita di farmaci, pronta a trovare scuse per non agire, per rimanere a letto. Tuttavia si fa subito strada la volontà di reagire, cerca un senso, affascinata da S. (lo scrive sempre così), ovvero Julius Spier, un chirologo che aveva iniziato a frequentare come paziente e che le aveva suggerito di tenere un diario. Quando si conoscono Spier ha più di cinquant’anni, ma Etty ne rimane affascinata e in breve nasce una grande amicizia per poi diventare un amore. Spier era un uomo di grande spiritualità, generosità e conosceva nel profondo gli esseri umani. Etty si lascia travolgere dal suo carisma, quell’uomo le sconvolgerà la vita, la guiderà a trovare un senso, l’aiuterà a vivere le sue emozioni, le sue speranze, ad avere la fiducia nella vita.
Il percorso affrontato da Etty è sconvolgente, non solo per lei, ma pure per me che mi sono permesso di entrare nella sua vita.
Ascoltandola parola dopo parola la seguiamo nel percorso interiore che la porterà a trovare Dio, quel frammento di Dio che viveva in lei, riflessione dopo riflessione cresce in spiritualità, scopre che le vicissitudini del mondo, gli orrori che accadono intorno a lei, l’odio verso la sua razza, non possono vincerla.
L’aiuterà in questo percorso pure la poesia di Rilke, artista che adora, lo considera lo specchio della sua anima, sente ogni suo scritto come proprio.
Etty scoprendo Dio riesce ad aprirsi al mondo, lei che non sapeva inginocchiarsi, si troverà un giorno in bagno sopra un tappeto di fibra di cocco con l’esigenza di inginocchiarsi, raccogliersi, congiungere le mani e pregare. Da quel momento avrà una visione nuova del mondo.
Malgrado le leggi razziali, le persecuzioni, le restrizioni, le proibizioni, la fatica di trovare del cibo, lei continua a scrivere che la vita è bella. Ogni giorno la vive in pieno, incontra momenti di umanità, episodi che coglie nel profondo ed elabora, avvenimenti in cui lei riesce a misurare la sua forza spirituale. La bellezza della vita la vede nelle cose semplici: l’albero davanti alla finestra di casa; una rosa tea che fiorisce e appassisce; un gelsomino; nelle violette che vede per strada; ma su tutto prevale il suo rapporto con Spier.
Capirà che le brutture del mondo non devono appartenerle, lei deve ricercare il bene, lo deve soprattutto a coloro che, come lei, sono perseguitati e reagiscono in modo sbagliato, ovvero alimentando l’odio verso i Tedeschi. Diventerà suo proposito stare vicino alla gente, scavare nel profondo di ognuno per cercare quel frammento di Dio che i suoi simili stanno affossando nel loro cuore, mentre lei lo vuole dissotterrare.
Lavorando presso il Consiglio Ebraico aveva la possibilità di salvarsi dai campi di concentramento, ma deciderà di stare vicina al suo popolo, lavorerà nel campo di transito di Westerbork e poi verrà deportata ad Aushwitz (per rappresaglia del capo delle S.S. olandesi, dopo aver ricevuto una lettera dalla mamma di Etty dove chiedeva di ottenere alcuni privilegi per la sua famiglia), dove morirà poco dopo.
Eppure, anche nell’orrore del campo di transito trova la forza di scrivere:
«Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto».
Quasi alla fine dell’ultimo quaderno scrive la frase che riassume il suo pensiero, il suo agire, il suo testamento:
«In fondo, il nostro unico dovere morale è quello di dissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, di sempre maggior tranquillità, fintanto che si sia in grado di irragiarla anche sugli altri. E più pace c’è nelle persone, più pace ci sarà in questo mondo agitato».
Alla fine della lettura, nel momento in cui ho chiuso il libro e mi sono soffermato sulla foto di copertina, Etty seduta alla scrivania con una mano appoggiata su un quaderno e l’altra sulla guancia mentre guarda verso la finestra che la illumina, dal lettore mp3 è iniziato il tema di Schindler’s list. Non poteva finire altrimenti questa lettura, o meglio, non poteva avere miglior inizio. L’inizio di una nuova consapevolezza, di avere trovato un’amica in più, una che mi aiuterà a dissodare in me vaste aree di tranquillità per poi irragiarle, spero, anche sugli altri.
Etty Hillesum, Diario 1941-1943 edizione integrale, ed. Adelphi