Ottantasei anni, cammina male, appoggiato al bastone, gli anni sono scritti sul viso e sugli occhi e, me lo confida, anche sull’udito.
Sono per lavoro dentro l’azienda che lui aveva messo in piedi quando le energie erano altre, le speranze e i sogni erano a un palmo dalla sua mano e l’allungava per prenderseli. Oggi è il figlio a sobbarcarsi le attenzioni e le responsabilità.
Mi chiede di che azienda faccio parte, che il nome scritto sulla portiera dell’auto e sulla maglietta non gli dice niente. Allora uso il nome che avevamo prima di questo, fa no con la testa, non gli evoca niente, uso quello precedente, un salto di trent’anni minimo, no, niente. Allora vado agli albori: Telve! «Ah, Telve!», risponde compiaciuto.
Non gli importa perché sono lì, le sue priorità sono altre, tipo ammonirmi:
«Se puoi, non invecchiare mai!»
«Mi sta chiedendo troppo», gli rispondo, «non conosco altro modo per restare vivo!»
«No, il modo c’è. Fino all’anno scorso, andava bene, poi… poi è cambiato tutto. In poco tempo quella manciata di amici sopravvissuti come me al tempo se ne sono andati. Ora se vado in piazza o al mercato, vedo tutta gente più giovane, non ho di che dire oltre la formalità.»
Non so che cosa rispondergli e capisco che non gliene importa, delle frasi di circostanza a ottantasei anni ne fa volentieri a meno, questo è quello che capto.
«Spero finisca presto. Che senso ha rimanere? Credo di poter sopportare ancora un anno o due, non di più», il due lo dice con maggior sofferenza, trapela il fastidio, la morte non arriva, l’ultima amante si fa desiderare e questo lo irrita, non ci si comporta così. Mi augura la buona giornata e se ne va chiamando i cagnolini meticci che non hanno smesso di abbaiarmi per aver violato il loro territorio.
la figura di quell’uomo anziano mi ha accompagnato tutto il giorno, mi tornava un senso di pena e di irrimediabile abbandono al destino, gli ho letto la sconfitta ormai certa, come un boxer che sa di aver già perso da qualche round ai punti, ma per dignità resta in piedi, sfinito, a schivare gli ultimi colpi, a fare la sua parte.
«Se puoi, non invecchiare mai!», questa frase, da assurda si è riempita sempre più di senso. Ovvio che non si può andare contro al decadimento fisico, però lo si può ostacolare, forse voleva dirmi questo, di avere più rispetto del corpo che mi è stato dato in affitto. Arriverà il giorno che le molecole romperanno gli attuali legami per formarne di nuovi, diventerò concime, fiore, gas, tutto tornerà a circolare, niente andrà perso, ma non sarò più io, la mia trasformazione chimica non mi riguarderà.
Ma questo ha già a che vedere con la morte, lui non mi ha detto di non morire, ma di non invecchiare.
Allora ho cercato di ricordarmi il volto che un tempo dev’essere stato grosso e rubicondo, mentre ora è afflosciato, rugato, le borse sotto gli occhi acquosi che mentre mi parlava non guardavano il presente, ma inseguivano il passato, volti, azioni, emozioni vissute.
Sono giunto alla conclusione che il monito era riferito a quel guardare indietro, al lamento per i coetanei perduti, a non saper stabilire un contatto con i giovani che nel suo caso significava tutti.
Quel vecchio ha abdicato alla vita, trovava senso e forza nei suoi coetanei, nel rincorrere e rinverdire i ricordi, rispolverare aneddoti che riportavano il sorriso e luce negli occhi. Ora è solo e ripetere quello che è stato ai familiari probabilmente annoia, sono cose già sentite e risentite, sono racconti, ma non vi scovano la passione, la sua passione, quella la poteva condividere solo con i coetanei.
«Se puoi, non invecchiare mai!», non è un monito per fermare il tempo, quello lo aveva fatto lui con i suoi compari, si ritrovavano per ricordare e rimpiangere il tempo andato, un’impietosa battaglia che le artriti e il diabete non permettevano a nessuno di loro di trattenere con vigore. E se ne sono andati, tutti, e con loro se n’è andato anche il suo passato, il suo motivo di vita.
Il vecchio mi ha invitato a non commettere il suo errore, non devo fare del passato il santuario della mia esistenza, non devono essere i coetanei il mio interesse sociale, non possono essere i ricordi il senso di vivere.
Gli anni passano, il corpo si stanca, si logora, ma non si deve invecchiare, non bisogna abdicare alla vita, non bisogna mai cessare di inventare, di sognare, di cantare, di meravigliarsi di quello che ci circonda. Va benissimo progettare, inseguire una meta, migliorarsi, trovare Dio. Bisogna essere la saggezza del presente e non la biblioteca del passato. La morte arriverà, ma quanto sarà più bello accoglierla mentre si annusa un fiore o si gusta una fragola, invece di farsi trovare piagnucolante sul proprio nulla.