Mi hanno chiesto perché, quando mi riferisco al fiume Piave, ne parlo al femminile e non al maschile.
Per due motivi: il primo, perché nel dialetto dei vecchi è sempre stata chiamata al femminile “a Piave”; secondo, perché non mi piace che il pensiero militarista abbia la meglio.
Giustamente i nostri vecchi la declinavano al femminile, dimenticando forse il suo significato originale (Plavis-Plavem nell’antica lingua indoeuropea significa “acqua che scorre”), ma restando fedeli nella forma. Oggi anche in dialetto ha la meglio la forma maschile “el Piave”, ma quando mi fermo sulle sue sponde, qui, nella sua corsa finale, e la ammiro credo che abbia ben poco di maschile.
Si presenta ancora con la sua portata d’acqua, ma basta risalire il suo letto per vedere quanta violenza ha subito. Le sue acque vengono deviate, depredate soprattutto per produrre energia. Ci sono chilometri di letto dove vi vedono solo ciottoli e un piccolo rigagnolo d’acqua che si perde tra i sassi.
Una femmina che aveva un corso d’acqua di una forza incredibile, che ha da sempre intimorito che vi viveva vicino, ora è stata ridotta a niente, vinta, incapace di nuocere e, soprattutto, sfruttata.
Solo vicino alla foce riacquista la sua dignità di fiume, ritrova la sua portata, quasi voglia darsi un tono, mostrarsi al mare con tutta la sua bellezza, nascondendo il male che le è stato fatto.
Ma all’uomo non è bastato, ha voluto cambiarle pure il sesso.
“il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio”
Questo maschio virile salutava con la calma e la sicurezza di chi sa che si sta marciando verso una guerra giusta. Qui si è combattuta un’assurda guerra per tutelare gli interessi di pochi, altro che liberare Trento e Trieste! E il Piave, che la retorica bellica ha disegnato come artefice della vittoria, tanto da renderlo “Sacro alla Patria”, in realtà è stato una donna che ha raccolto il sangue di ogni divisa, ha cullato indistintamente i cadaveri di povera gente, ha salvato la pelle ad Hemingway, che a Fossalta di Piave vi si è tuffato assieme ad altri durante la ritirata, mentre i cecchini italiani gli sparavano contro per rimandarli al fronte.
E a fine guerra si è salutata la Piave col disprezzo del nome maschile, non sia mai che la guerra vigorosa sia materia per femminucce.
Io continuo ad avere rispetto della Piave, sembra una femmina vinta, doma, ma non ne sono sicuro, abbiamo costruito grandi argini a qualcosa devono pur servire, non dobbiamo dimenticarcelo. Nel 1935 ha dato un colpo di coda, per avvertirci di stare sempre in guardia, dopo una piena eccezionale ha rotto l’argine e si è inventata una nuova foce, un chilometro più giù della precedente e ne è nato un isolotto, battezzato “laguna del Mort”.
Forse aveva capito che gli uomini avrebbero di lì a poco cominciato a cementificare la spiaggia, spianarne le dune, strappare la vegetazione per sostituirla con alberghi e ombrelloni, così ha voluto tutelarne un lembo, perché diventasse ricordo per le generazioni future di come era il mondo prima del cemento.
Qualcuno, a ondate diverse, ci fa dei pensierini su quel fazzolettino di spiaggia, è un peccato lasciarla integra, non sfruttarla. Io starei attento a tanta idiozia. Sinora altre persone sono riuscite a impedire che qualcuno ci mettesse le mani sopra (sono stat tra costoro), ma se qualcuno ci riuscisse, io lo voglio avvertire: la Piave non è doma e non è morta e, senza preavviso, morde.