Settimana di saggi, questa trascorsa.
Quest’anno i miei due pargoli hanno seguito un corso di teatro il maschio (sotto pressione dei genitori), e quello di danza moderna la femmina (libera scelta).
Perché costringere il maschio al corso teatrale? Buttandola giù brutalmente dovrei dire per terapia. Non che abbia chissà quali problemi. A scuola ci hanno sempre segnalato che aveva delle difficoltà relazionali (con avvallo dello psicologo, già dalla scuola dell’infanzia) e giù incontri con psicologi ed esperti.
Qual era il problema? La noia. Nessuno l’ha interpretata tale, ma si annoiava, non aveva stimoli. Come ora. E chi glieli doveva fornire gli stimoli se non gli educatori? Non so se i tagli ministeriali abbiano la loro responsabilità (non lo credo, la scuola dell’infanzia l’ha consumata dalle suore -con mio sommo pentimento- con soldi e soldi spesi), ma sta di fatto che ha sempre ottenuto risultati invidiabili e comportamento pessimo. Non è mai stato violento o agggressivo, ha il tipico comportamento di chi si annoia, noi lo abbiamo capito, gli insegnanti no, e ci siamo slogati il polso a firmare note. Apprende facilmente e le ripetizioni dell’insegnante per lui sono noia noia noia.
Gli psicologi (più di uno) non hanno trovato segnali particolari: «È fatto così!», bello spendere sette anni per sentirsi dire che non c’è niente di sbagliato.
La bambina ha chiesto di andare a scuola di ballo perché qualche amica lo faceva e soprattutto la cuginetta prediletta. Lo voleva fare per imitazione. Non avevamo motivi per non assecondarla.
Il maschio ha raccolto molte note per il comportamento (non dico il numero per vergogna, ma anche per non coprire di ridicolo gli insegnanti -l’ultima gliel’hanno data una perché ha urlato vedendo un’ape, eppure lo sanno che ha terrore degli insetti!-), gli piace fare il pagliaccio, far ridere.
Ho cercato di spiegargli, con parole semplici, che far ridere la gente non è facile: la gente può ridere grazie a te o può ridere di te. Dalle note e da quello che lui mi raccontava o che raccoglievo dai e dalle compagne di classe, cadevo spesso nella seconda ipotesi.
Ho cercato di fargli capire che far ridere non è un mestiere facile, che le figure che lo affascinano della televisione non improvvisavano mai, ma c’è uno studio, una fatica alle spalle. È faticoso far ridere ma enormemente gratificante. Se lui desidera far ridere la gente a me stabene, ma costa fatica, studio, impegno. Far ridere, far vivere sentimenti, credo sia il più bel mestiere che uno possa inventarsi, ma ha bisogno di una palestra.
Perché la gente deve ridere grazie a te e non di te.
Per questo li abbiamo iscritti al corso di danza moderna lei, e a quello di teatro lui, al “Teatro dei pazzi” di San Donà di Piave. Non per un futuro di velina (me ne guardo bene) o di attore, semplicemente per capire come stavano le cose, per imparare a esprimersi, a mettere in gioco il corpo, a relazionarsi, a capire che anche una cosa apparentemente sciocca, sottostà a regole, a tempi, a ritmi.
Mercoledì scorso ho assistito al saggio della bambina. Devo confessare che il balletto, visto sempre e solo alla TV, mi deprime. E invece assistere dal vivo tutto si trasforma, vuoi perché c’è la tua bambina sul palco, ma non è solo questo. Quando si sono esibite le più grandi, quelle che stanno aggrappandosi ai vent’anni, in “Burlesque”, sono rimasto folgorato, non solo per la grazia e per la musica, ma per le espressione dei visi. Ho visto delle giovani ragazze che non solo avevano eleganza, ma sapevano coinvolgerti e trasmettere emozioni con lo sguardo. Lode alla loro insegnante.
La bambina è stata brava, mi ha sorpreso, oltre le previsioni, per la sua capacità di giocare col corpo al ritmo della musica, ma su di lei non avevo dubbi, è una che si butta, che si mette in gioco. Lode all’insegnante.
Venerdì il saggio del maschio. “Quasi come Giulietta e Romeo”, il titolo dello spettacolo. A lui il corso non è piacuto. Poche battute e tutte seriose. E movimenti, solo movimenti. Ho cercato di fargli capire che il movimento è tutto in un attore, prima arriva il gesto e poi la parola. Papà ha fatto formazione, che ti credi. Ma lui no, e poi quelle stupide battute!
Lui desidera far ridere. Battute spiritose, questo conta! Ah sì? E allora quel cretinetti che ti piace tanto, “Mister Bean”, quante battute dice? Nessuna, eppure ridi. Ridi per i gesti, per le espressioni, per quello che compie, non per quello che dice.
Recandoci a teatro per la recita, forse ero più nervoso di lui, ma non l’ho dato a vedere, forse lo era anche mia moglie, ma non ci siamo confidati niente, abbiamo fatto tutto come fosse un atto abituale. Non ho chiesto neppure a mio figlio se era nervoso.
Eppure eravamo alla prova decisiva. Se si fosse bloccato, imbarazzato, se si sarebbe coperto di vergogna, non ci avrebbe mai perdonato di averlo spinto in quella ridicola esperienza. Avevo mille dubbi. Se fosse stato un fallimento?
E invece i dubbi sono svaniti al suo ingresso, alla sua battuta scandita con limpidezza, al suo volteggiare come gli era stato insegnato. E così per le altre scene, parola e gesto eseguiti secondo la regola. E poi gli applausi finali. Il suo sorriso limitato dalle orecchie altrimenti avrebbe fatto il giro di tutta la testa, soprattutto quando si è presentato al pubblico per ricevere la sua quota di applausi.
A spettacolo finito, sceso in platea l’ho baciato e stretto forte forte, gli sono pervenuti i complimenti della sua ex insegnate d’asilo e delle persone che stavano lasciando la sala. «Grazie, grazie!», ripeteva sudato e felice. Mi ha confidato di essere stato nervoso e agitato durante tutto il tempo. Bene, è indice di responsabilità.
Spero abbia capito quanta fatica ci sia dietro a uno spettacolo. E il senso degli applausi. Non sono un semplice «Bravo!», ma un segno di riconoscenza per aver donato delle emozioni. Lode agli insegnanti.
Hanno già detto entrambi di non voler continuare l’esperienza, di voler tornare a nuoto. Un po’ mi dispiace, mi sembra che la danza, il teatro trasmettano meglio il senso dello stare insieme per il raggiungimento di uno scopo comune. Dover relazionarsi con gli altri, rispettarli e rispettare una regola comune per il bene dello spettacolo, da il senso dello stare insieme e la possibilità di crescere.
Hanno tutta l’estate davanti e il piacere provato con una esibizione: vedremo.